Leitmotiv | FW2013/14

I videogiochi a 8bit, quei mattoncini sgranati, gli occhi che non meritavano più di un pixel e per esprimere emozioni basiche i personaggi dovevano esagerare la mimica facciale >:C quasi fossero attori del teatro classico giapponese; i cieli sempre azzurri di giorno ed irrimediabilmente neri la notte; quelle foreste che avresti voluto esplorare ma il gameplay non lo permetteva — mica come ora, che va di moda lasciare libero il giocatore di cazzeggiare per gli scenari, costruiti con una perizia tale da sembrare un film…

Eppure quei pixelosi mondi chiusi, sarà che il cervello quel che non percepisce completa di suo pugno neurone, paradossalmente ti rendevano ancora più curioso di sapere cosa ci fosse oltre il bosco #003300, al di là di un #ffffff monte innevato o di un fiume #BFEFFF, che apparivano dopo i lunghissimi (oggi improponibili per il ragazzino medio, ansioso e frettoloso come solo un genitore moderno ha saputo crescerlo) caricamenti delle cassette, subito dopo schermate vuote che s’andavano riempiendo di colorati mattoncini ASCII, come a consigliarti, per ingannare l’attesa, di metterti ossessivamente a contarli o usarli per costruire — a mente — pomeridiane fortezze della solitudine.

L’universo evocato dall’ultima collezione dei Leitmotiv è questo: un retró elettronico che gioca di citazioni e schizofrenicamente — come le stampe alle quali ci hanno ormai abituati — vanno avanti e indietro sulla retta delle arti grafiche, dall’art déco e dalle silhouette settecentesche francesi che hanno ispirato gli sfondi piatti e monocromatici dei videogames d’epoca agli scenari ad 8bit; dall’universo grafico del web 1.0, fino ai collage e all’estetica new ugly degli anni ’90 e ’00.

Se le linee del marchio fondato da Fabio Sasso e Juan Caro rimandano allo streetwear, al funzionale (giacche double face e shorts (!) trapuntati, cappucci), l’attitudine si sposta dalle strade e dalle città per finire nei boschi di cui sopra, nelle casette delle streghe di fiabe dalla deriva acida, il caldo di una cameretta da portarsi appresso in forma di ricordo, l’errore di sistema sempre in agguato, capace di dislocare pezzi di codice — l’errore dopotutto ha la predisposizione al surrealismo — e piazzarti l’inaspettato proprio di fronte agli occhi.

foto: Matteo Felici

co-fondatore e direttore
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