Pitti83 | la transizione

Prima di addentrarmi nella presentazione delle collezioni più interessanti e per meglio inquadrare i pezzi che usciranno nei prossimi giorni su quanto ho avuto modo di vedere durante l’ultima – l’83esima – edizione di Pitti Immagine Uomo, credo sia doveroso fare una piccola introduzione per tirare le somme di quanto ho visto a Firenze, focalizzando l’attenzione sui piccoli marchi, quelli indipendenti, quelli che a noi sono più cari e nei quali crediamo di più.

E’ stata un’edizione, questa, che aveva tutta l’aria di essere di transizione: se migliaia di corpi e di menti in movimento – concentrati in uno spazio e un tempo ristretti a pochi giorni e in poco meno di 60.000mq – si portano addosso milioni di idee, stimoli, spunti, non servono doti medianiche per percepire, come un barometro, qual è l’aria che tira: a livello di mercato come di potenzialità creativa. La nuvoletta che si alzava sopra la Fortezza da Basso (sede storica, dall’83, di Pitti Immagine in tutte le sue declinazioni: Uomo, Donna, Bimbo, Filati) non era né quella della crisi né quella della ripresa, quanto piuttosto la foschia di un limbo, in quanto tale provvisorio. E quando sei in mezzo alla nebbia ti fermi e aspetti che si diradi per vedere dove sei, oppure vai avanti sicuro del tuo senso dell’orientamento e quando ti ritrovi alla luce del sole magari trovi una sorpresa inaspettata — piacevole come un nuovo meraviglioso panorama o terribile come il burrone nel quale stai precipitando.

Di vere e proprie novità, dunque, se ne sono viste poche. Di coraggio nel rischiare, pure. Tra i piccoli marchi, diversi quelli che hanno scelto di uscire dal Sistema Fiera (almeno in Italia, molti comunque continuano ad investire sulle fiere in Francia) per affidare la presentazione delle collezioni a showroom o ad eventi organizzati magari proprio durante il Pitti, puntando quindi sull’effetto satellite. Altri invece, nonostante storie a volte persino decennali hanno iniziato solo ora ad affacciarsi alla grande fiera fiorentina che comunque rimane una delle più importanti del mondo per quanto riguarda la moda maschile.

Parlando con gli addetti ai lavori, quello che è uscito in tutta la sua evidenza è che in pochi riescono a sopravvivere facendo affidamento sul solo Sistema Moda italiano. Qualcuno si è pure azzardato a dire che senza il mercato giapponese una bella fetta dei marchi presenti al Pitti farebbe fatica a tirare avanti.
Forse è proprio per questo che in molti, moltissimi hanno puntato sulle collaborazioni – l’unione fa la forza, ma possiamo pure vedere il fenomeno come un gettare le basi per quella cosiddetta strategia della sardina di cui si parlava in un post di qualche mese fa – come pure su capi trasformabili (paghi uno e prendi due/tre/quattro e in tempi di crisi non è poco), che insieme alla (ri)scoperta del proprio territorio d’origine come fonte di idee, ispirazioni, motivazioni sono state le costanti, lampanti, di quanto presentato negli stand.

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