Hand Block Printed Textiles | intervista a Nora Dioca

Se da una parte cerco di scoraggiare il più possibile chi mi contatta su facebook o mi aggiunge alla sua cerchia di amici soltanto per segnalarmi il proprio marchio, il proprio portfolio, l’evento da non perdere (alzi la mano chi vorrebbe, sul social di Zuckerberg, un bel bottone con su scritto “sono un asociale” che blocchi all’istante tutti gli inviti nei secoli dei secoli) resta il fatto che la signorilità si vede da pochi quanto chiari indizi. C’è chi ti inonda di link e chiede (ma sarebbe meglio dire elemosina) visibilità e chi invece innanzitutto cerca, senza fretta e senza strafare, di stringere – per quanto possibile su un social – un rapporto umano.
Chiara Nordio signora, modestamente, la nacqueE mi ha incuriosito proprio per la sua rara gentilezza, che mi ha fatto andare ad esplorare il suo profilo e scoprire tanti interessanti indizi sui quali ho poi chiesto lumi (la strategia migliore, lo sostengo da sempre, non è saltare addosso alla tua preda ma fare in modo che sia quest’ultima a trovare te, barattando la sua attenzione con una illusoria – quanto però gratificante – sensazione di scoperta, lasciando poi alla “vittima” il compito di stabilire se di vera esplorazione o di percorso guidato si sia trattato: il confine è labile, l’ambiguità dietro l’angolo, ma la curiosità dopotutto pur di questo si nutre).
Non ho ancora capito se quella di Chiara fosse appunto una strategia ma ad ogni modo sono ben felice di esserci cascato con tutte le scarpe dato che ho scoperto una persona di un dinamismo contagioso, alle prese – attraverso un alter-ego chiamato
Nora Dioca – con un progetto interessante come Hand Block Printed Textiles, marchio/laboratorio di design tessile fatto a mano che produce disegni originali su tessuti naturali, applicandoli ad abbigliamento ed accessori.

Ciao Chiara! Innanzitutto sveliamo l’arcano: come mai Nora Dioca?

Nora Dioca è il mio nome d’arte ma prima di tutto è il frutto di uno di quei giochi che si fanno da bambini con gli amichetti, con le parole dette al contrario o giù di lì. E partivano, sai, quelle risate spensierate e irrefrenabili che rendevano tutto possibile, anche cambiare nome. Da Chiara Nordio a Nora Dioca.
Poi il nome è rimasto per i progetti più divertenti e forse più creativi. Della serie: gente finalmente adulta che vuole crescere…

Come hai iniziato?

La mia formazione è artistica, non saprei come altro definirla. Ad ogni modo né classica né matematica.
Da piccola avevo sempre tra le mani pezzi di carta e penne, colori in cialda e pennelli, forbici, e tanto Vinavil. Devo ancora capire se i miei genitori fossero figli dei fiori o steineriani in incognito ma per storia familiare si doveva far sperimentare e imparare attraverso la manualità. Certo, pure tanti libri ma poi meglio di un foglio bianco non c’era anche per stare insieme ed ho finito per andare a studiare all’Istituto d’Arte di Venezia, i Carmini, conseguendo il diploma di maestro d’arte in decorazione plastica (scultura) e poi sono andata a Padova – la scuola si chiamava – il Pietro Selvatico, per gli ultimi due anni del diploma superiore, sempre in scultura, con degli insegnanti di progettazione e pratica che solo ora mi rendo conto come fossero esemplari umani davvero rari: rimanevano a lavorare con noi in laboratorio ben oltre l’orario ministeriale, trasmettendoci una disciplina nel lavoro che mi è servita più in là, ad esempio all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove in effetti un po’ di anarchia ci stava anche bene ma troppe distrazioni, feste, inaugurazioni e poi i mitici aperitivi di fine anni ’90 milanesi, che te li perdevi?
Mi sono messa quasi subito a lavoricchiare per qualche realizzazione scenografica che poi, diplomata, mi è servita per entrare con regolare assunzione (!) in un bellissimo laboratorio di scenografia nelle Marche, dove lavoravamo per il teatro e la tv. Lì ho imparato moltissimo ed ho deciso di continuare su quella strada. Dopo due anni ero a Parigi, negli Atelier Disney, in mezzo a materiali americani di altissima qualità, tra resine e lattici che non avevo mai usato…

E come sei finita dalla Disney ai tessuti?

A Parigi ho fatto grandissime esperienze, lavorative ma anche umane. Però iniziavo pure a rendermi conto che quello che facevo era un lavoro in via di estinzione, molto faticoso sia mentalmente che fisicamente e soprattutto non era ciò che volevo fare davvero. Quello che mi attirava davvero era il mondo di chi le cose le fa, gli oggetti li costruisce.
La svolta è arrivata grazie ad un incontro con un importante imprenditore tessile del varesotto che mi propose uno spazio nell’ufficio stile della sua azienda. Furono anni densissimi tra tessitura, ricamificio, stamperia e finissaggio. Al mattino si progettava e al pomeriggio si andava dal tecnico per produrre insieme i campioni. Per me un sogno!

La scelta di abbandonare la vita aziendale per metterti in proprio quando l’hai fatta?

Sono rimasta in quella fabbrichetta (in realtà una fabbricona) per qualche anno, finché ho capito che avrei potuto fare più o meno lo stesso lavoro ma confrontandomi con più interlocutori e con la possibilità di poter dedicare maggior tempo ad attività e relazioni più appassionanti di quelle che potevo avere nel micromondo del capannone.
Quindi mi sono trasferita a Roma e per un po’ mi sono dedicata, oltre al textile design, a collaborare con società che organizzavano grandi eventi culturali, lavorando in parte nella gestione dei cantieri di allestimento – attività che avevo già avuto modo di seguire nel 2007 in occasione della Biennale di Venezia – e in parte nella progettazione grafica dell’allestimento.

Pure la Biennale? Ormai ho quasi paura a chiederti delle tue esperienze.

Alla Biennale ho lavorato nel Padiglione Italia e alle Corderie dell’arsenale.
Chili persi: 6.
23 gli operai baresi, molto forzuti, da governare.
Ho continuato a fare tutte queste svariate attività fino al 2011 quando, dopo la mia collaborazione (la terza) al Festival del Film di Roma e la mostra I Borghese e l’antico presso Galleria Borghese, ho pensato: basta!
Mi sono detta: Chiara, hai spaziato quanto più possibile tra attività e relazioni, ora è il momento di tornare da dove sei arrivata.
E così mi sono ritrovata in laboratorio. E mi sono ritrovata felice.

Passiamo a Cnd Textile Project.

Cnd Textile Project – dove Cnd sta per Chiara Nora Dioca – è il nome, forse poco divertente ma con un retrogusto un po’ secco che mi piace, di un progetto dedicato alla stampa manuale di pattern su tessuto.
Un progetto che in realtà, con varie forme e obiettivi, mi ha accompagnata molto spesso nelle mie svariate attività ed è sempre stato uno degli ingredienti principali della mia attività di progettazione, come textile designer per l’azienda tessile, nella ricerca e sviluppo di collezioni per l’arredamento e surface design.
Attraverso un aspetto prettamente “tecnico” Cnd Textile Project mi ha accompagnato durante tutto il mio percorso lavorativo.

Come?

La possibilità di poter ripetere e comporre nel disegno manuale “il rapporto di disegno” con degli elementi matrici – simili a timbri – ha facilitato e stimolato la mia creatività fin dall’inizio ed è stata utile pure quando mi sono ritrovata a lavorare nell’industria tessile.
Cnd Textile project – Hand Block Printed Textiles così com’è oggi perciò è nato con grande naturalezza, forse dopo troppe ore davanti al monitor, attrezzata di tavoletta grafica.

Puoi spiegarmi come lavori?

Realizzo disegni originali che poi stampo completamente a mano su tessuti naturali, creando accessori d’abbigliamento e per l’arredamento.
Il progetto grafico, cioè il pattern da riprodurre sulla superficie tessile, in alcuni casi lo realizzo tramite incisione manuale diretta (xilografia o lino-cut), in altri grazie ad altre tecnologie di taglio e incisione indiretta (chimica, digitale o laser), in base alla specificità di ogni composizione.
Il pattern ottenuto, montato su un blocco di legno o di plastica, viene “spalmato”, inchiostrato con pigmenti per tessuto e pressato sulla superficie tessile, che deve rimanere ben tesa. La stoffa stampata la metto poi ad asciugare all’aria e alla fine la passo ad alta temperatura sotto una calandra. Per le piccole superfici invece basta un buon ferro da stiro.

Come racconteresti le tue creazioni?

Ogni pezzo vive al di fuori dalle logiche commerciali e dai trend stagionali ed è pensato come progetto e obiettivo finale allo stesso tempo.
Ciascun esemplare esce con la data del giorno in cui è stato stampato ed un numero progressivo, a garanzia della sua unicità, testimoniata pure dalle piccole “imperfezioni” manuali, diverse da creazione a creazione.

Fai tutto da sola?

Attualmente il progetto lo sto portando avanti in solitaria, investendo tutto quello che ho a disposizione, anche in termini di risorse economiche (ma mi auguro che queste ritornino presto – copiose! – anche per ulteriori investimenti e collaborazioni con altri designers ed artigiani).

Dunque due mani, una testa che immagina, un laboratorio per creare…

Sì, il laboratorio è il centro, il cuore dell’intero progetto. Il luogo dove ogni giorno c’è qualche cosa di nuovo da affrontare e dove continuo ad imparare, facendo ma anche sbagliando.
Come ho sentito dire in un’azienda dove ho lavorato: telaio fermo non fa difetto
La mia bottega la vedo come un luogo “su misura” per me, nella laguna di Venezia, vicino alla spiaggia.
Sto pensando di allestire anche degli spazi dedicati anche alla tintura naturale e allo shibori e con un po’ di tempo a disposizione probabilmente organizzerò anche qualche workshop. Ti terrò aggiornato!
Dopo tanto andar su e giù per l’Italia finalmente mi sono fermata.

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