Cut & Shut: the History of Creative Salvage

Usata e abusata da anni, spesso unico vanto di marchi che hanno poco da altro da dire, altrettanto spesso utilizzata dalle grandi aziende per sottolineare tardive svolte all’insegna del green (come marketing impone), l’espressione Recupero Creativo viene da lontano e precisamente dagli anni ’80 quando a Londra un gruppo di artisti cambiò per sempre la storia del design, riunendosi in un collettivo chiamato Creative Salvage (che di Recupero Creativo non è che la traduzione inglese), con un manifesto datato 1983 e una visione politica in antitesi al thatcherismo imperante.

Del movimento Creative Salvage fecero parte nomi come Tom Dixon, Mark Brazier Jones, Joe Rush, André Dubreuil ed anche Ron Arad – pur non aderendone mai ufficialmente – ebbe un ruolo fondamentale nel successo degli artisti e progettisti del collettivo (oggi vere e proprie celebrità), intuendo per primo la portata rivoluzionaria del riuso nel campo del design, e dell’utilizzo dei cosiddetti ready-made come materia prima per oggetti, complementi d’arredo e sculture, portando avanti nel campo del design una strada già tracciata da Duchamp e Warhol nell’arte moderna e contemporanea.

La storia del Creative Salvage inizia nell’81 ed ha a che fare con una band di musica funky ed uno strip-club di SoHo. La band si chiamava Funkapolitan (ecco un video per chi volesse approfondire) e al basso c’era Tom Dixon. Quell’anno i Funkapolitan furono chiamati dai Clash come gruppo di supporto per una data americana del loro tour e quando il gruppo salì sul palco del Bond’s International Discotheque di New York il pubblico, composto perlopiù da punkettoni, non fu molto felice di ascoltare il funk della band di Dixon e finì letteralmente a bottigliate. Poco male, visto che Dixon ebbe comunque modo di restare folgorato da un paio di gruppi che suonarono dopo di lui e che proponevano un genere che proprio in quegli anni andava muovendo i primi passi e che in Inghilterra era ancora sconosciuto: l’hip-hop.

Tornato a Londra il futuro designer aprì insieme al cantante della sua band, Nick Jones (da non confondere col quasi omonimo e ben più celebre Mick dei Clash), il primo club hip-hop di Londra, appunto in uno strip-club di SoHo. Lo chiamarono Language Club e divenne uno dei luoghi “caldi” della città, frequentato da gente come Boy George e gli Spandau Ballet. In breve lo spazio diventò troppo piccolo per la fama che era riuscito a crearsi e Tom e Nick decisero di trasferire il club in locations temporanee come le vecchie fabbriche occupate nelle zone periferiche della città (in pratica organizzando dei rave, prima che si iniziasse a parlare di una scena rave).

I due chiamarono l’artista e designer Mark Brazier-Jones, che all’epoca faceva spettacoli sezionando carcasse di automobili, ad esibirsi durante le serate. Le scintille che volavano via dalle lamiere fungevano pure da “luci”, a illuminare gli enormi spazi vuoti e bui delle fabbriche.
Proprio dalle scintille (e da un paio di incidenti in moto di Dixon, che per mancanza di fondi lo costrinsero ad imparare a saldare e riparare i pezzi) ai tre venne l’idea di utilizzare il metallo recuperato dalla spazzatura per costruire dei mobili. Affittarono per una settimana uno spazio e lo trasformarono in laboratorio/galleria d’arte. Dal lunedì al venerdì lavorarono dal vivo (la gente poteva vederli da una finestra) e durante il fine settimana aprirono le porte e misero in vendita i pezzi creati.

Fu un successo: tutto esaurito in poche ore. Il resto è storia (nella quale più tardi entra a far parte anche un pazzo come Joe Rush, tra gli inventori del movimento dei mutoids).
Un’incredibile storia. Come altrettanto incredibile è sapere che un fenomeno come questo non sia finora mai stato “storicizzato” con una pubblicazione. Hanno rimediato Nick Wright e Gareth Williams, scrittore e collezionista il primo, capo del dipartimento di arte contemporanea e design della casa d’aste Bonhams il secondo, con un libro che racconta la storia del Creative Salvage, attraverso interviste ai protagonisti ed immagini inedite.

Il volume, intitolato Cut & Shut: the History of Creative Salvage si acquista online da Vince & Son, studio londinese che ha curato la pubblicazione.

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