Canon Eos M diary | Vinoir

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Da qualche settimana ho in mano la nuova Canon Eos M, gioiellino del marchio giapponese e sua prima incursione nel mondo in espansione delle cosiddette fotocamere mirrorless.
In qualità di “ambasciatore” italiano della Eos M la sto provando sul campo, utilizzandola per documentare il mio lavoro, come sempre alla ricerca di luoghi, persone, idee interessanti di cui parlare.
La seconda tappa di questo particolare tour è
Vinoir, un’enoteca che non è un’enoteca (ma molto di più) in Ripa di Porta Ticinese 93b a Milano.

Vinoir è la realizzazione di un sogno.
Di chi ci va, certamente, perché è uno dei rari posti dove l’equazione vino di nicchia = solo per eletti come per magia (in realtà grazie all’intelligenza e all’umiltà degli osti) diventa vino di nicchia = per chi vuole provare o imparare a conoscere il vino di nicchia.

Sui navigli, leggermente fuori mano rispetto alle zone più frequentate delle serate milanesi, la piccola enoteca ha aperto nel marzo 2012, ereditando il nome di un progetto partito sul web nel 2005 come un “diario online attraverso cui fissare esperienze legate a vino, cucina, luoghi, letture”. Diario che poi (ecco che si realizza il sogno di cui parlavo in apertura) si è letteralmente trasformato in spazio fisico, dove Gianluca e Maddalena accolgono gli ospiti con una selezione incredibile di vini, birre, distillati ed olî, oltre ad una piccola ma azzeccatissima libreria a tema.

Dopotutto Vinoir non è solo vino ma una contaminazione di sapori, odori, storie e soprattutto esperienze, da vivere grazie al gusto e alla competenza dei due proprietari, che hanno il raro dono di praticare un’ospitalità da amici più che commercianti, e comunicare una passione da entusiasti e più che da critici.

Gianluca – inconfondibilmente sardo nei modi e nella cadenza – racconta il suo progetto.
«Siamo in una piccola bottega-laboratorio dove vendiamo vini, libri ed organizziamo attività didattiche legate al vino» dice «abbiamo una ricerca di piccoli/piccolissimi vignaioli che secondo noi raccontano bene il territorio italiano e che lavorano con vitigni autoctoni, lavorano con naturalità, non usano chimica in vigna e pochissima in cantina, solo quando è necessario».
Lui viene da tutt’altro settore. Lavorava nel digital. Ma insieme a sua moglie Maddalena aveva questa grandissima passione, che i due celebravano in casa, con piccole ma iper-professionali degustazioni tra amici.

Gianluca mentre racconta Vinoir

Glielo leggi negli occhi a Gianluca che Vinoir è molto più che un’enoteca. Che è una celebrazione di pezzo di sé condiviso con la persona che ama e che ora è a casa a badare alla loro bimba di appena cinque mesi (non li invidio, conosco bene il periodo delle colichette e delle notti insonni…).
Ma oltre che padre empatico sono marchigiano. E sono curioso. E allora gli chiedo se ha qualche Verdicchio lì tra gli scaffali affollati di bottiglie. Ne ha due: la Marca di San Michele e Fattoria San Lorenzo.
Ed io ho la conferma del fatto che Gianluca e Maddalena lavorino principalmente con chi, il vino, lo fa innanzitutto per amore.

Mentre inizia a stappare e a riempire i bicchieri, il mio e quello dei blogger e giornalisti che sono con me per la presentazione, uno chef è indaffaratissimo ad ultimare delle meraviglie che di lì a poco assaggeremo.
«Oggi con noi c’è Enocratia, un amico di Vinoir, un bellissimo ristorante che sta in via S.Agnese a Milano» dice Gianluca.
«Anche loro lavorano sempre seguendo il fil rouge dell’abbinamento tra cibo d’autore e vini d’autore e stasera per accompagnare i due vini che degusterete, Eugenio, lo chef di Enocrazia, ha preparato 3 assaggi dei suoi».

Eugenio Boer mentre sta ultimando di preparare gli assaggi

Beviamo Timorasso dei Colli Tortonesi.
«Grande uva bianca, riscoperta da poco. Walter Massa, il produttore, da una decina d’anni a questa parte ha lavorato benissimo riscoprendo questo vitigno» spiega Gianluca.
«Questo è uno dei suoi cru» (per i profani: cru significa una vigna, un vino). «Agrumato, minerale, una bella uva che ha tutto, corpo e finezza. Un vino che non stanca».
C’è anche un rosso ma visto che mi piace il Verdicchio lui mi consiglia il Timorasso. E guadagna altri 1000 punti. E’ un vino straordinario.

Il rosso invece è un Carignano del Sulcis, del sud-ovest della Sardegna. La particolarità è che viene da una vigna di 100 anni a piede franco pre-fillossera. Una rarità perché in Europa pochissimi appezzamenti di vigna hanno resistito agli anni ’20 del secolo scorso alla fillossera. Nel caso del Sulcis, hanno resistito grazie al terreno sabbioso.
«E’ un Carignano che fa due anni di legno grande» spiega Gianluca «un vino potente ma con una finezza di sentori di macchia, di mirto, di lentischio».
Ottimo anche questo. Anche dopo due bicchieri di bianco.

Intanto Eugenio, lo chef di Enocratia, ha ultimato i tre assaggi e noi stiamo già provando i suoi capolavori, nei quali gusto ed estetica sono in continuo dialogo e collaborano in un intreccio di sensi che – anche grazie alla scelta di utilizzare “piatti” sui generis – ti trasportano da un piovoso pomeriggio milanese direttamente in mezzo alla natura. Non è difficile fregare il cervello e fargli credere di essere da qualche altra parte se hai un’idea e le capacità ed il talento per realizzarla.

Per primi proviamo i “sassi”. Sopra c’è una crema di formaggio di capra fresco, una polvere di porcini freschi messi a disidratare insieme a farina grano saraceno. La patata è una semplice patata bollita, passata in un bagno di lattosio e caolino – ovvero argilla bianca – con un po’ di acqua, un po’ di nero di seppia e del sale. Le patate vengono passate lì dentro poi messe a seccare in forno a 50° per mezz’ora circa.

Argilla? Siamo curiosi. Dunque si può mangiare?
«Sì in realtà l’argilla bianca la mangiamo pure quando prendiamo le pastiglie medicinali» dice Eugenio.

Nel secondo assaggio il protagonista è il polpo, cotto a bassa temperatura nel roner.
Di fronte agli sguardi interrogativi lo chef spiega che il roner è uno strumento che veniva utilizzato principalmente nell’industria farmaceutica per tenere l’acqua in costante movimento e a temperatura controllata. Visto che i punti di domanda continuano a girare come nuvolette intorno alle nostre teste, Eugenio riassume per noi comuni mortali: «in pratica si tratta un bagnomaria sofisticato». Ora è tutto chiaro.

Il polpo ha una tenacità non da poco e infatti, dopo averlo assaggiato, viene da chiedersi come diavolo abbia fatto a dargli quella consistenza: sembra quasi sciogliersi in bocca.
Il segreto sta appunto nel roner, dove viene messo a 97° per 90 minuti. Poi si spegne il roner ed il polpo viene lasciato lì finche l’acqua non ritorna a 26/27°. E ci mette più di 10 ore!
Dopodiché viene passato in padella e con l’acqua che ha rilasciato, che è ricca di albumina, si può preparare una maionese.

Quindi quelle “palline” bianche sulla corteccia sono in realtà maionese?
«Sì» dice lo chef «una maionese che si prepara senza uova, senza sale, senza aceto… E’ semplicemente acqua di cottura del polpo ed olio di semi, emulsionati insieme. Sulla corteccia, insieme al polpo, ci sono patate al forno e sotto una scorza di ‘nduja calabrese».
La combinazione è incredibile. In bocca i sapori sembrano rincorrersi come se stessero girando attorno all’albero.

Per ultima proviamo una terrina di fegati e cuori di pollo, crumble di frutta secca, gelatina di Passito di Pantelleria, rapanelli e valeriana. Un omaggio alla cucina tradizionale toscana, regione nella quale Eugenio Boer ha vissuto per tre anni, lavorando in due ristoranti del livello di Arnolfo e della Leggenda dei Frati.
«Il cuore rappresentato dalla terrina» spiega Eugenio « è costituito da sapori molto forti ed intensi ed è alleggerito dalla nuance fresca dei rapanelli e dalla leggerezza erbacea della valeriana, il tutto bilanciato ed esaltato al palato dalla gelatina di passito, che aggiunge una nota zuccherina al piatto».

Incredibile a dirsi, fegati e cuori di pollo riescono ad essere contemporaneamente molto saporiti ma leggerissimi. E la gelatina di passito, in bocca, assume le sembianze di un regalo, una sorta di pillola di sapore che pure una volta usciti da quel meraviglioso gioiellino che è Vinoir, rimane sul palato a farci compagnia lungo la strada, sotto la pioggia di una Milano trasfigurata dai buoni sentimenti di cui abbiamo fatto scorta grazie a Gianluca ed Eugenio.

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VINOIR
Ripa di Porta Ticinese 93b, Milano (mappa)
www.vinoir.com
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