Trailer | Line of Sight

Lucas Brunelle è una sorta di profeta per i ciclisti urbani e per i fanatici della bici a scatto fisso.
Celebre per le due videocamere montate sul caschetto – una puntata di fronte, l’altra dietro – Lucas ha passato gli ultimi dieci anni a pedalare in mezzo al traffico, tra le auto e i pedoni, nei vicoli e in barba ai semafori, seguendo e filmando su e giù per l’America, l’Europa, l’Asia, le gare ciclistiche clandestine – le alleycat. L’enorme materiale accumulato in tutto questo tempo ora è diventato un film, o meglio un documentario in dvd, in uscita il prossimo 1 luglio. Opera che farà discutere dato che già soltanto il trailer ha scatenato in rete polemiche e discussioni, fuori e dentro la scena dei fissati [di bici].
Sì perché negli spezzoni si vedono saette su due ruote che sfilano contromano tra i taxi di New York, pazzi che fanno lo zig-zag tra i passanti e non hanno tempo da perdere ad aspettare il verde e miracolosamente si ritrovano al di là di un incrocio senza un graffio, magari costringendo una macchina a frenare a secco.

Sui forum italiani ed internazionali dei vari gruppi locali di appassionati di bici fissa o di bici in generale (per chi non conoscesse questo mondo, la scena è vivissima e piena di fermento con raduni, tornei di bike polo, alleycat – nella maggior parte dei casi molto più tranquille di quelli del film – organizzati nelle città di tutto il mondo, compresa quella dove vivi tu, qualunque essa sia), là dove qualcuno ha postato il trailer ne sono uscite fuori discussioni pure molto accese e tra tantissimi che hanno preso le difese di Brunelle e del suo film Line of Sight non sono mancate le critiche – pure su vimeo e youtube, dove sono usciti i filmati – non solo dalla gente “normale”, che sicuramente fa più fatica a capire un universo allo stesso tempo semplice (due ruote, due gambe, un strada o qualcosa che ci si avvicini) ed intricato, ma anche da chi di questo mondo fa parte ed imputa a Brunelle il rischio di danneggiare l’intera scena – già alle prese con una continua battaglia contro centri urbani raramente a misura di bici, mostrandone il lato più spericolato, irresponsabile, meno condivisibile. D’accordo che si tratta di uno di quei video della serie don’t try this at home ma, sostengono in molti, così si finisce per confermare tutti i pregiudizi, già difficili a togliere, di automobilisti e pedoni.

Polemiche che probabilmente non faranno né caldo né freddo a Brunelle, personaggio dal passato difficile cresciuto nell’isoletta più esclusiva del New England, Martha’s Vineyard, là dove l’aristocrazia politica ed economica americana va a passare l’estate e non si aspetta certo di vedere un piccolo teppista in BMX rovinare le loro passeggiate in mezzo alla natura, provarci (e a volte riuscirci) con lo loro care figliolette ed andarsene in giro con due cani sciolti come lui, che di lì a breve diventeranno i più “celebri” rapinatori dell’isola.

Un rendimento scolastico problematico, una dislessia ancora da diagnosticare, la classica sindrome da deficit di attenzione che gli strizzacervelli amano tanto diagnosticare a quelli che un tempo erano soltanto ragazzini vivaci ed oggi considerati come malati di mente (confondendo forse minorenni con minorati), dopo un primo, distrastroso anno di high school Brunelle viene spedito in un ospedale psichiatrico, inizialmente per una visita che poi si rivela solo l’inizio di un ricovero che dura qualche mese, finché che il padre, contro il consiglio dei medici, non decide di toglierlo di lì.
Una volta a casa, l’iperattivo Brunelle non riesce a non cacciarsi di nuovo nei guai e la famiglia lo manda in un collegio, esperienza che per lui si rivela orribile quasi quanto quella dell’ospedale psichiatrico. Lì però Brunelle fa amicizia con altri ragazzi come lui con i quali instaura un rapporto di “mutuo soccorso” che finisce per dargli finalmente quella tranquillità che non è mai riuscito a trovare.
In premio, una delle ragazze del personale, gli presta la sua bici e lui inizia a andare come un razzo da una parte all’altra della struutura. Nonostante gli spazi limitati con la sua bici Brunelle riesce a fare di tutto. E scopre finalmente qualcosa che sa fare. E sa fare bene.

Uscito da lì inizia si compra la sua prima vera bici, un modello da corsa con i colori stile Miami Vice. Con quella partecipa – e vince – diverse gare fin quando Frank Jennings, ex-corridore e proprietario dello storico negozio di bici di Martha’s Vineyard, si accorge di lui ed inizia a lavorare su quel ragazzo problematico che solo in sella ad una bici sembra davvero nel suo mondo. Sotto la guida di Jennings Brunelle vince dozzine di gare, arriva addirittura ad avere degli sponsor.
Il momento felice, però, non dura a lungo. Jennings viene arrestato per spaccio di cocaina ed indagato per una serie di furti in abitazione nei quali è coinvolto pure Brunelle.

Nonostante le accuse (alcune delle quali per furti che non ha commesso) Brunelle continua a pedalare e vincere ma quel senso di agitazione che l’ha perseguitato per tutta l’infanzia torna e si abbatte su di lui come un macigno. Siamo ancora alle superiori e Brunelle inizia a dare di matto, a guidare la sua auto senza il minimo rispetto per le regole e a sfidare la polizia, che continua a beccarlo, arrestarlo e scarcerarlo poco dopo.
Le cose vanno avanti così per un bel pezzo finché nel 1990 non viene condannato a due anni anche se poi effettivamente si fa soltanto un mese di prigione. Che ovviamente non gli mette la testa a posto.
Uscito da lì si iscrive a al college e contro ogni previsione riesce a portare a termine gli studi. Prova pure, ma senza successo, ad avere un lavoro a Wall Street, mentre il suo passato di tanto in tanto torna a galla e diversi “amici” gli offrono lavoretti interessanti ma rischiosi.
Brunelle non ha intenzione di tornare in galera e decide di aprire una sua attività. Doppia. Aggiusta computer e fa il pony express in bicicletta. Di tanto in tanto partecipa a qualche gara ma le corse amatoriali non fanno per lui. Troppo tranquille.
Finché nel 2001, partecipando ad una critical mass, conosce il suo futuro amico John McLean, anche lui su due ruote ma con addosso qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la vita di Brunelle: una telecamera montata sopra una spalla.

Brunelle inizia ad immaginare come sarebbe stato riprendere in video tutte le corse a cui aveva partecipato e dopo una serie di esperimenti si costruisce un’apparecchiatura da montare sul caschetto.
Da quel momento in poi, entrato con tutti e due i pedali nella vita underground dei messengers su due ruote – i primi ad organizzare le gare illegali, le alleycat, nelle quali non c’è un vero e proprio percorso ma una serie di tappe, dei checkpoint, disseminate per la città, in modo tale che a vincere non sia quello che corre di più ma chi conosce meglio le strade e non ha paura di prendersi qualche rischio – Brunelle inizia a partecipare e a filmare un numero incredibile di corse.
Dopo dieci anni il materiale accumulato è enorme e tre anni fa, con l’aiuto di due film-makers, i fratelli Zenga (non sono parenti del mitico Walter), inizia a lavorare su Line of Sight.
Benny Zenga, il regista, capisce che in mezzo a tutte quelle riprese spericolate ci sono delle storie e attraverso il montaggio prova a raccontarle.
Il risultato è un film, che come ho già scritto uscirà il prossimo 1 luglio in dvd, che entra per la prima volta nella scena del ciclismo underground di tutto il mondo.
Un film che darà fastidio a molti, ne esalterà altrettanti, ma che è un insuperabile spaccato di realtà, un riflettore acceso su una sub-cultura che solo chi ne fa parte riesce a capire a pieno.

Per quanto mi riguarda non mi sento di criticare Brunelle per il lavoro che ha fatto. Si tratta pure sempre di un documentario, dunque di una testimonianza e come tale va presa.
Resta il fatto che se qualche idiota si prende la libertà di venire addosso a me e mia figlia mentre passeggiamo su un marciapiede o attraversiamo la strada un bel calcio nella stomaco se lo rimedia comunque. E magari lo filmo pure.

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