Le nostre vite senza ieri
di Edoardo Nesi
Bompiani 2012
Le nostre vite senza ieri è il seguito ideale – meno nuvoloso, meno arrabbiato, altrettanto malinconico ma proiettato in avanti – di Storia della mia gente, pamphlet che tanto successo ha avuto prima e dopo il Premio Strega, arrivato all’improvviso a consacrare un autore che comunque il suo meglio l’ha dato nella fiction (Fughe da fermo; L’età dell’oro).
Un successo, bisogna dirlo, assolutamente trasversale: lo presto a mio padre, che lo passa a mia madre, che lo passa al suo capo e in attimo gli industriali della mia piccola e depressa Vallesina guardano a Nesi come ad un Messia, una sorta di abile pr delle loro rimostranze verso uno Stato che li ha mandati al macello, una globalizzazione che non ha saputo mantenere le promesse, come il depliant per una vacanza in un resort da sogno che poi scopri essere il sottoscala di una pensione a due stelle e verso un’economia che ha voltato loro le spalle per stringere la laida mano della finanza pura, liscia come quella di chi non ha mai lavorato davvero, profumata come quella di una puttana d’alto bordo.
Dopo le nuvole e i lampi di Storia della mia gente, dunque, Le nostre vite senza ieri è una schiarita. E’ anche uno dei rari casi in cui la copertina fa davvero il suo dovere: racchiude il testo materialmente ma anche concettualmente, con la serenità di un limpido cielo azzurro che però sottende pure il vacuo senso d’impotenza dell’uomo di fronte al vuoto e all’immenso, l’occhio a scandagliare quel primo confine – colorato e dunque rassicurante, ma anticamera del nero assoluto che c’è dietro, subito oltre l’atmosfera, il recinto che la natura ha dato all’uomo – alla ricerca di una traccia, quella scia di cometa che è metafora dell’Italia che fu ma che si può immaginare pure come la scia di un razzo che s’allontana verso il domani, là dove nessun aereo potrà mai arrivare, esattamente come il professo – e la fiducia in esso – che a un certo punto si è bloccato:
«Suvvia, è ridicolo – semplicemente ridicolo – che nel 2011 la quasi totalità delle autovetture a benzina in circolazione nel mondo sia mossa da un motore il cui principio di funzionamento è il ciclo Otto, dal nome dell’ingegnere tedesco Nikolaus August Otto che ne depositò il brevetto nel 1876; o che la quasi totalità dei furgoni e dei camion e delle barche e dei traghetti e delle navi da crociera sia spinta da motori diesel, il cui brevetto fu depositato a Berlino dall’ingegner Rudolf Diesel nel 1892; o che la stragrande maggioranza delle case e dei palazzi sia alimentata ancora oggi dal gas naturale o addirittura dal gasolio – in sostanza dando fuoco a qualcosa di infiammabile, proprio come gli uomini delle caverne.
È ridicolo che un aereo di linea d’ultima generazione debba ancora impiegare nove ore per andare da Roma a New York, proprio come i Boeing 707 o i DC-7 a elica degli anni Sessanta; o che in Italia ci siamo ormai abituati al pensiero, e allo stato di fatto, che l’aria delle nostre città ogni tanto si saturi di polveri cancerogene per via delle emissioni dei motori dei nostri veicoli o delle caldaie delle nostre case, e invece di indignarci per questo, ci indignamo perché i sindaci bloccano il traffico.»
Ma poi Nesi guarda appunto il cielo e sogna, anzi propone – passando, dopo la pars destruens di Storia della mia gente e della prima parte di questo libro, alla pars costruens, in questo dando una lezione a tante forze politiche e sociali che sanno solo puntare il dito ma non hanno idea di come poi sporcarsi la mano, impregnandola di quel’”odore di lavoro” tanto caro allo scrittore toscano – chiudendo quello che dopotutto non è che un diario scritto in prima persona mescolando sapientemente fatti, ricordi, pensieri e fiction, con un vero e proprio manifesto che la critica dei “professori” taccerà come ingenuo, ma non dimentichiamoci che
«la crescita economica non la creeranno certo i politici o i banchieri, che del resto non l’hanno mai creata, ma il lavoro di tutti quei milioni di uomini e donne che ogni giorno si siedono davanti a computer diacci, danno il via a macchinari sporchi, salgono su furgoni e camion smarmittati, afferrano i loro telefoni e avviano a lavorare…»
ed è dura, durissima farlo se
«[..] la crescita economica ha al suo dentro un fuoco. Nel caso dell’Italia di oggi è ormai solo una lieve fiammella [..] eppure è da questa fiammella che nasce la necessità di fare, [..] la fiammella rappresenta – forse addirittura è – quell’idea fondamentale che vuole che all’impegno debba corrispondere una ricompensa, e che il merito vada sempre premiato [..] e bisogna stare molto attenti a minarla, poiché alimenta e sostiene il patto sociale e spinge ognuno di noi a sacrificarsi oggi in cambio della promessa di avere di più domani, in giusta proporzione a quanto avremo saputo fare e a quanto ci saremo impegnati.»
E dov’è dunque la speranza? Chi ha in mano il futuro? Chi è a bordo – o sta per prendere – quel razzo (immaginiamolo così) che lascia la sua scia in copertina?
Secondo Nesi sono le piccole e piccolissime aziende, guidate da giovani, pieni di idee, che operano in rete o con l’aiuto della rete.
Sembra uno dei soliti proclami ma non lo è. È una speranza sincera, una visione se non probabile almeno possibile e soprattutto una visione accompagnata da proposte reali, quelle che troppo spesso mancano ai sognatori e che altrettanto spesso abbondano nei pragmatici ai quali però difetta lo slancio ideale.
Nesi ha entrambe le doti, insieme ad una scrittura capace di prenderti a martellate l’animo ma anche di esaltarti. Sempre, comunque, con gran semplicità ed onestà. Che è poi tutto quel che serve per svegliare le coscienze.