The book is on the table | Storia della mia gente

Storia della mia gente
di Edoardo Nesi
Bompiani 2011 | amazon

Edoardo Nesi è il traduttore di Infinite Jest e quindi intellettuale da rispettare anche già solo per questo (immagino le notti insonni su periodi che proseguono senza punti per pagine e pagine, cercando di ricostruire in italiano la matematica complessità di subordinate e coordinate che s’infilano come tappeti l’una sotto l’altra e livello dopo livello ti portano su e giù, scompaiono e saltan fuori di nuovo da qualche altra parte, per poi ricominciare a giocare a nascondino – infilandosi, intanto, ben in profondità nelle regioni più antiche del cervello).
Ma Edoardo Nesi è anche, e soprattutto, uno scrittore. Scrittore che però, per un motivo o per l’altro non ho mai “frequentato” direttamente (dopo la lettura di questo libro prometto che rimedierò alla svista) ed è stato quasi un caso trovarmelo sotto mano in libreria, dove la vocina interiore che di solito mi accompagna quando sono in mezzo ai libri non la smetteva di sussurrare prendilo… prendilo…

Ma, di nuovo, Edoardo Nesi non è soltanto scrittore e traduttore ma anche e soprattutto un industriale. O meglio, lo è stato. Rampollo di un’antica dinastia di imprenditori tessili del pratese, allevato a latte e filati, etica del lavoro e scuole estive ad Harvard, destinato al successo, cresciuto con la certezza che il miracolo economico della leggendaria piccola e media impresa italiana fosse destinato a non esaurirsi mai.
Il resto della storia – non la sua, che racconta nel libro, ma quella di tutti – lo conosciamo: la globalizzazione, i cinesi, il crollo (o meglio l’implosione) del distretto tessile di Prato, i fallimenti, la cassa integrazione, i licenziamenti, le tante piccole storie di operai rimasti a casa e di imprenditori a cui il mondo è fuggito via (non senza colpe, chiariamolo subito) da sotto ai piedi.

Nel 2004 Nesi vende l’azienda che suo nonno Temistocle, insieme al fratello Omero, aveva aperto negli anni ’20, ritrovandosi all’improvviso “soltanto” scrittore, privato di un pezzo fondamentale della propria vita, pieno di rabbia verso il sistema politico che ha permesso il disfacimento dell’economia italiana; verso quei blasonati economisti che dalle pagine dei giornali e dalle poltrone di governo hanno entusiasticamente esaltato il nuovo mondo globale, quello del liberismo sfrenato e senza regole (o dalle regole impari); verso il sistema moda che ha venduto l’anima accecato dai miliardi, sacrificando – senza versare una lacrima – la qualità e svendendo allo stesso tempo il concetto stesso di Made in Italy. Verso tutti coloro, dunque, che hanno fatto sì che la nostra fosse la prima generazione incapace di sperare (è questo il vero dramma) e di ottenere un futuro migliore di quello dei suoi padri.

Storia della mia gente non è quindi un romanzo ma uno sfogo. Arrabbiato, sì, ma soprattutto nostalgico (senza però piangersi addosso), che attraverso la storia dell’autore racconta il declino di un mondo ormai in via di estinzione, lo smarrimento di un’intera generazione impreparata ad un futuro che ad un certo punto si è rivelato diverso da quello promesso ed ora persa in un limbo fatto di rassegnazione, depressione, incapacità di reazione, paura e sensazione di vivere sotto assedio, sentimenti che finiscono poi per trasformarsi in chiusura, ottusità e razzismo, a volte senza che tu nemmeno te ne accorga – nel libro le pagine dedicate alla silenziosa armata di cinesi che ha occupato Prato sono tra le più commoventi.

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