INTERVISTA PETTINATA
Ok, conosciamo Simon Reynolds e la sua ultima fatica. Ci siamo sbucciate le ginocchia per la prima volta negli anni Ottanta. Abbiamo avuto sorelle maggiori che ci obbligavano a chiamare in radio per dedicare Each time you break my heart [play ▶] al pinolo di turno. Abbiamo avuto cinture di plastica trasparente giallo o rosa fosforescente. Eravamo pop per nascita e non per meriti, incapaci di essere altro. Poi ce ne siamo dimenticate, la retromania presbite ha guardato più lontano finché non ha fatto il giro. Ed eccoci qua. Inverno 2011/2012, è bastato un concerto dei Summer Camp a far riesplodere tutta la voglia di collant di pizzo e di Twister in salotto.
I Summer Camp sono Elizabeth Sankey, bella come Betty Grable, e Jeremy Warmsley, scappato almeno esteticamente da una graphic novel di Craig Thompson. Nascono nel 2009 per scherzo – Elizabeth non aveva mai cantato prima – dopo aver registrato la cover di I only have eyes for you dei Flamingos [play ▶] e averla messa su MySpace fingendosi una band svedese. Inaspettatamente attirano l’attenzione di pubblico e critica, e dopo qualche mese di mistero escono allo scoperto. Nel 2010 esce per Moshi Moshi Records l’EP Young e lo scorso ottobre il primo album, Welcome to Condale, attualmente nella top ten dei debut album inglesi del 2011 secondo The Guardian.
Ascoltateli. Sarà un viaggio pop intorno alla luna, all’adolescenza, all’America, alla TV e al cinema. Parleranno di voi – la prima volta che ho ascoltato Better off without you ho pensato alla sigla di qualche mio teen drama anni ’90, Beverly Hills 90210 in primis – ma soprattutto di un’idea di America in giovani testoline europee che in America non ci sono ancora state. Welcome to Condale, ad esempio: context album ambientato in una città californiana da fiction dove si incrociano le storie di una teenager degli anni Ottanta e di una star hollywoodiana nei primi anni Cinquanta. Primi appuntamenti, nostalgia del passato, amore e drama serviti in salsa ipnagogica: a un tramonto in technicolor non si sa dire di no, in tempi bui come questi, e la gioia spensierata con cui si apre la scatola magica dei Summer Camp è paragonabile solo a quella che ci prendeva davanti alla villa di campagna di Barbie. Un sogno da toccare.
Gli anni Ottanta come una via di fuga. Da cosa state o stavate scappando?
Niente di terribile. Più che altro amiamo quel genere di escapismo fine a se stesso.
L’incontro più importante della vostra carriera?
Probabilmente quando la nostra manager Louise [Latimer, della Empire Management, n.d.r.] ci ha chiesto di prenderci in gestione. Oppure quando abbiamo pensato di registrare insieme per la prima volta.
Guardando alle spalle e in avanti, come vi sentite a questo punto della vostra vita artistica?
Benissimo! Siamo davvero soddisfatti di ciò che abbiamo raggiunto, ma abbiamo ancora molto lavoro da fare e non vediamo l’ora.
Che cosa fareste oggi se non foste i Summer Camp?
Elizabeth farebbe radio e scriverebbe, Jeremy farebbe più produzione e suonerebbe in altre band.
Quanto istinto e quanta disciplina ci sono nel vostro fare musica?
Cerchiamo di combinarli: scriviamo d’istinto e poi editiamo parecchio.
La vostra adolescenza in poche parole.
Jeremy: in casa. Elizabeth: ossessionata da se stessa.
Un altro vostro talento, oltre la musica?
Elizabeth sa imitare i bambini piccoli e Jeremy è bravissimo a imitare gli animali.
Qualcosa per cui siete troppo vecchi e qualcosa per cui siete troppo giovani?
Troppo giovani per le tasse, troppo vecchi per il Laser Tag.
Daniela Garutti