Leggo di questo gioco – Nature Treks – da qualche parte su twitter. Dicono sia estremamente rilassante: non c’è uno scopo vero e proprio, a parte accumulare palle di luce e farfalle mentre una voce fricchettona ti spiega il potere dei colori.
Fondamentalmente un pretesto per camminare – lentamente – dentro ad un mondo bucolico, aspettando di “spegnere” definitivamente la sapiente voce, raccogliendo tutto il luminosamente raccoglibile per poi iniziare a girare, dapprima a caso, poi seguendo i sentieri, infine affidandoti di nuovo al fato, chiedendoti se raggiungerai mai le montagne (no), se il sole si muove con il passare del tempo (mi pare di no), fermandoti a “riposare” le membra virtuali, accarezzato dal vento accanto al fiume o all’ombra di un albero.
Ecco, forse il vero scopo di Nature Treks è fermarsi e/a pensare. Ad ascoltare (la tua testa che vaga). A guardare e immaginare. Come fossi davvero là dentro. E per farlo non servono livelli, armi, nemici, tempo che scorre (a parte quello vero, su, nell’orologio Ikea appeso al muro). Quando te ne stai in campagna a passeggiare hai forse bisogno di tutto questo?
E’ l’assenza a scatenar visioni di possibilità. E uno strano struggimento – il romantico sehnsucht dei tedeschi, che la sanno lunga: letteralmente”malattia del doloroso bramare” – ti assalirà in mezzo a un prato, lungo un sentiero o dietro una roccia: quel che potrebbe succedere là dentro, che non succederà (e proprio perché non succederà) ti mancherà tantissimo, mentre vaghi lungo i confini, chiedendoti cosa c’è oltre le cime, cercando di orientarti per ritrovare quel campo di papaveri o la distesa di lavanda, accompagnato da una colonna sonora new-age ma dagli accenti lynch-badalamentiani, scattando screenshots in quantità industriale per portarti a casa qualche ricordo.