Pitti | moltosilvia

Il vintage, in fondo, è una macchina del tempo. Un album di foto che però puoi anche indossare.
Gli abiti che trovi nei mercatini funzionano come dei ready made: sono lì, belli e pronti, e quando li indossi non fai che infilarti, senza nemmeno conoscerla, in una vecchia storia, proseguendola a tua volta.
Aprire il vecchio armadio della nonna o della zia, invece, è come sfogliare l’album di famiglia: quella è la tua, di storia, e ti metti addosso i ricordi di quando da bambina giocavi attorno alle sue gonne, la casa e le voci e i gesti che ci abitavano dentro, la luce che dalle finestre sbatteva sulle stampe colorate degli abiti che ora tu, sotto nuove luci, fai parlare di nuovo.

Silvia Pizzoli – fashion designer che a dispetto del mondo (troppo) spesso fatto di maschere in cui lavora riesce non solo ad essere se stessa, ma addirittura ad esserlo all’ennesima potenza (moltosilvia) – nelle sue collezioni riesce a creare, utilizzando tessuti preziosi pescati qua e là per il mondo, nei mercatini, nelle soffitte, dai rigattieri, una sensazione di familiarità. La sua è una sorta di magia: prende pezzi di storie sconosciute, li mette assieme e ti fa (ri)vedere immagini che da qualche parte nella tua testa, là, dentro alla scatoletta dei ricordi che ti porti dentro, c’erano già.

Per la sua ultima collezione, presentata al Pitti W, Silvia ha deciso di giocare con la sua istintività (“a pelle…”), in un tripudio di seta (che la pelle la accarezza) visibile/invisibile (non la vedi, ma la senti), dritto/rovescio, davanti/dietro, con abiti che portano i nomi delle sue amiche. Una storia da raccontare quando sarai tu la nonna o la zia con il vecchio armadio da esplorare.

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