Chiunque da ragazzino abbia intrapreso una carriera da “smontatore”, provando ad imparare come funzionano le cose prima ancora che ti insegnassero a scrivere, tormentando macchinine e vecchi walkman, raccogliendo maniacalmente ogni filo di rame, ogni componente elettrico dai colori farmaceutici, sognando di notte calamite a ferro di cavallo grandi come quelli che usava Wile Coyote prima di cadere nell’ennesimo canyon, roba da piccoli secchioni curiosi, probabili futuri hacker o geniali ingegneri meccanici. Oppure, perché no, orafi come Andrea Giunti (non ha un sito quindi accontentati di facebook), ché basta un’occhiata alle sue creazioni per capire che la stoffa da “smontatore” è la stessa.
Fiorentino, appena ventiquattrenne, Andrea concepisce e realizza nella sua stanza trasformata in bottega (questa dopotutto è l’era delle “camerette” che diventano studi di registrazione, gallerie d’arte, atelier, ristoranti e, perché no, botteghe artigiane) bizzarri marchingegni da indossare, tra ingranaggi che ruotano, cerchi che girano su se stessi, gabbie in miniatura che si aprono (dentro puoi metterci i desideri), magneti che fanno muovere magicamente mucchietti di “pelosa” polvere di ferro su e giù per anelli da infilare al dito.
Nei gioielli di Andrea Giunti il gioco è ovunque: meccanico, spesso ironico, sempre surreale.
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