Un libro raccoglie dipinti e illustrazioni ispirate alla serenità

La serenità è diversa dalla felicità. Quanto breve e intensa è la seconda — un fuoco d’artificio — tanto calma e prolungata (o perlomeno così ci augura) è la prima.
In latino serenum è il cielo, sgombro da nuvole, piatto («tempo stabile» come dicono i meteorologi) e, in forma figurata, l’animo di chi è tranquillo, in pace con sé stesso e con il mondo.
Il termine inizialmente indicava qualcosa di secco e di asciutto. Lo spiegano bene su Una parola al giorno, dove scrivono: «Dapprima parlava d’acqua, di assenza di acqua: propriamente serenus era il secco, l’asciutto. Poiché l’asciutto della terra dipende dall’asciutto del cielo, si comprende come questa idea di secco si sia proiettata in alto, descrivendo uno stato limpido dell’atmosfera, privo di nubi, privo di nebbia. E qui c’è un punto di meraviglia profondamente intelligente: il cielo sereno è di un azzurro compatto, uniforme, imperturbato, oltre che luminoso. Così, il ponte di significati che porta dall’assenza di nubi alla tranquillità è largo e liscio, e solido quanto è solida la nostra comune esperienza del cielo».

Distorta in un beffardo presagio di tradimento con lo «Stai sereno» di renziana memoria, ormai diventato un meme, la serenità è un concetto caro a due correnti filosofiche in cui la pratica dell’imperturbabilità e del distacco — dalle cose materiali, dai desideri, da noi stessi — riveste un ruolo centrale: lo stoicismo (Seneca lo tira fuori di continuo, così come, secoli dopo, il mistico cristiano Meister Eckhart, fortemente influenzato dal pensiero stoico) e il buddhismo (e le filosofie orientali in generale: se ne parla molto, in questi giorni, nelle critiche di segno positivo e negativo sul film Perfect Days di Wim Wenders).
Nel buddhismo, all’origine della sofferenza ci sono avidyā, l’ignoranza, e tanhā, la “sete”, il desiderio che gratifica. Come racconta Hervé Clerc nel suo (per me) fondamentale Le cose come sono, tale sete viene metaforicamente rappresentata come una liana inclinata, sulla quale ci attacchiamo come scimmie transitando da una vita all’altra: «La serenità appare quando l’inclinazione sparisce» si legge nell’Udana, un’antica raccolta di versetti del Buddha.

Dunque: calma, imperturbabilità, distacco, libertà dal desiderio, pace, “asciuttezza”. Sarebbe questa la serenità, che apre (e si apre) alla luce. Un’ottima ricetta per un buon vivere — per chiunque, toccato o meno dal desiderio di spiritualità — ma assai difficile da mettere in pratica, dato che la società in cui siamo immersi è costruita su principi ben differenti e viaggia spedita in direzione diametralmente opposta.
Ma come si rappresenta la serenità? Ha provato a chiederselo la casa editrice Victionary, raccogliendo in un libro illustrazioni e dipinti che ispirano e si ispirano alla serenità, opera di artiste e artisti contemporanei, da tutto il mondo .

Intitolato Life Stills (che si potrebbe tradurre come “fotogrammi di vita”, ma qui stills è usato in ogni suo senso, come quiete, come silenzio, come acquietarsi), il volume presenta tantissime immagini, ovviamente caratterizzate da un senso di placidità, di riconciliazione col mondo, di tregua dagli affanni, di silenzio, di armonia e di ricerca della bellezza nelle piccole cose, nella solitudine di un bosco così come nella luce di un paesaggio, in un semplice scorcio cittadino, in un oggetto familiare, in compagnia di qualcuno di importante, nell’epifania di un momento perfetto.