Cassettine

Metal degli anni '80

Quando andavo a scuola ricordo che i metallari eravamo soltanto due. Io in realtà, almeno come abbigliamento, ero più dark, sempre vestito di nero e viola. Michele invece era il metallaro più classico: pantaloni attillati e gilet di jeans ricoperto di toppe dei gruppi.
Mi ha passato un sacco di musica Michele. Non era della mia classe ma ci vedevamo durante le ore di ginnastica e parlavamo di musica. Mi ricordo ancora una cassettina che mi fece per farmi conoscere alcuni dei gruppi che ascoltava e che sarebbero poi diventati anche i miei preferiti. 
Per qualche motivo, ogni estate riascolto un po’ di vecchia musica, compresa quella dei gruppi che seguivo da adolescente e quest’anno ho pensato di condividerla e di farvi una cassettina, come si usava ai miei tempi.
Di Michele non ho più saputo nulla, non ricordo nemmeno come si chiamasse di cognome.
Ma se qualcuno di questi gruppi vi piacerà, dovete ringraziare un pochino anche lui.

Lato A

Sempre la solita situazione

Illustrazione di Sara Arosio

Lato B

Non c’è rosa senza spine

Illustrazione di Sara Arosio

Non c’è gruppo metal dell’epoca, per quanto marcio e pericoloso volesse comparire, che non avesse la sua ballad. Perché alla fine della fine, anche ai cuori d’acciaio piace ballare i lenti.

Così se i Poison avevano Every rose has its thorn, i Mötley Crüe suonavano Home sweet home.
Per i Def Leppard c’era Love bites e per i Cinderella Don’t know what you got (till it’s gone).
E poi per i Guns c’era Patience, per i Bon Jovi la bellissima ballata western Wanted dead or alive e per gli Skid Row la dolcissima (diciamo pure melensa) I remember you.

Anche i Faster Pussycat ne avevano una, House of pain, che all’epoca non avevo sentito e che è diventato uno dei miei pezzi preferiti di questa estate. Anche perché non è la classica canzone d’amore per una donna, ma la storia di un bambino che aspetta il padre che se n’è andato (vera storia del cantante Taime Downe).

Infine, c’erano i Whitesnake con This is love il cui video è un ca-po-la-vo-ro.
Potrei guardarlo per giorni interi.
Comincia con lei che mette due calze in valigia e se ne va, abito aderente bianco e cortissimo, e lui che sale sui tetti a suonare la chitarra di notte, per alleviare il dispiacere. La scena dopo si vede che lei non ha preso una valigia ma una specie di baule, che non capisci come faccia a trascinarlo con i tacchi così alti, ma non importa perché adesso sul tetto a suonare le chitarre ci sono saliti tutti.
E poi via così, lei che fa la danza del capitone (ma è un flashback di quando si amavano) e lui che si piace troppo con la giacca con i lustrini sulla canotta bianca (un tocco di eleganza). Nell’ultima scena lei è per strada e ormai è giorno, per cui per arrivare al piano terra ha impiegato tutta la notte. Mentre scendeva si è anche cambiata, perché ora porta una giacca bianca aperta sul davanti. Comunque, fa per andarsene, ma prima butta via la valigia per strada perché si è rotta le palle di trascinare un cassone per portarci soltanto due calze dentro. A questo punto lui spunta da dietro l’angolo, le salta addosso e la ribalta su una macchina parcheggiata.
Cavoli, erano proprio gli anni Ottanta.
Adesso, lei gli spruzzerebbe lo spray al peperoncino.

Le illustrazioni di questo articolo sono di Sara Arosio

Sara Arosio è un’illustratrice milanese. Il suo primo incontro con il disegno è stato con Denver il dinosauro, di cui copiava la caricatura, assistita dal padre. Ha studiato pittura all’Accademia di belle arti di Brera e arti visive all’Università IUAV di Venezia e nel 2022 ha frequentato il Mimaster Illustrazione. Nelle sue illustrazioni unisce tecnica tradizionale e digitale e lavora molto con il colore, per dare vita a personaggi sognanti, buffi e a volte paradossali.
È anche autrice della rubrica Logos, parole illustrate, qui su Frizzifrizzi.

saraarosio.com
@sa_rosio
editorialista
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