Segni che raccontano storie: una video-intervista a Eleonora Marton

Il 6 e 7 maggio scorsi si è tenuta, negli spazi di BASE Milano, l’edizione 2023 di Paw Chew Go, coloratissimo festival dedicato all’illustrazione — e non solo.
Da tre edizioni a questa parte, Paw Chew Go produce un format, Vernice Paciugo, che consiste in una mostra dedicata a un(‘) artista di rilevanza internazionale, accompagnata da un mini-documentario in forma di intervista.
Dopo Nathalie Du Pasquier e Massimo Giacon, quest’anno è stata la volta di Eleonora Marton, artista veneta che da anni vive a Londra, lavorando con diverse tecniche e linguaggi (illustrazione, video, animazione, libri per l’infanzia, fanzine autoprodotte, poster, sculture, quilting) e dividendosi tra progetti personali e commissioni, tra collaborazioni con case editrici italiane e non, e realtà del calibro di The New York Times, The Guardian, NIKE, Mediatemple, Disney, Wired Italy, UCLA, Rizla e Moleskine.

Il percorso artistico di Eleonora — che ho avuto il piacere di intervistare dal vivo, lo scorso marzo, per il documentario — è caratterizzato dall’uso in forma narrativa degli oggetti, dalla costante curiosità per la sperimentazione di nuove tecniche, dall’attenzione per le piccole cose (anche banali, ma in cui trovare ironia o poesia) in cui ci si imbatte per caso, e dalla fondamentale importanza del processo creativo.
Di questo e altro abbiamo chiacchierato nel mini-salotto ricreato nell’enorme stanza di BASE e la nostra conversazione è stata trasformata in uno splendido video grazie al lavoro di Nicola Cordì (regia e montaggio), Davide Verderame (seconda camera), Benni Giammari (assistente), Giuseppe Puzzanghera (audio e color), Daniele Desperati (grafiche), Fortuna Todisco (coordinamento) e della stessa Eleonora Marton (testi), il tutto con il supporto di IIF Istituto Italiano di Fotografia.

Il filmato integrale è qui sotto, e di seguito c’è il testo dell’intera intervista (nel video abbiamo tagliato qualche pezzo), presentato con un minimo di editing.
Le foto sono invece relative alla mostra.


Qual è il primo disegno che ricordi nitidamente dall’infanzia?

In realtà non ho ricordi di disegni precisi di quand’ero molto piccola. Però ho trovato recentemente questo giornalino, chiamato il Gazzettino. Avevo spillato insieme delle pagine e inventato delle storie di cronaca. È molto divertente perché ci sono molti riferimenti a quello che succedeva nei primi anni ’90. C’è un personaggio che ho “intervistato” e scrivo che era andato a Fantastico e non voleva più andar via. Poi nella pagina sportiva c’è una parte con Gullit…

Eleonora Marton
(foto: Nicola Cordì | courtesy: Paw Chew Go)

Quando hai deciso di fare l’illustratrice? Quando hai capito che quella era la tua strada?

Da piccola, come la maggior parte dei bambini, mi piaceva disegnare, costruire cose. Secondo me, il momento in cui ho capito che volevo che il disegno prendesse la maggior parte del mio tempo è stato quando, in terza media, ho scelto di andare al liceo artistico. Mio fratello, che è cinque anni più grande, in quegli anni stava frequentando l’istituto d’arte, e quindi vedevo quello che portava a casa, sentivo che aveva tutte queste ore di disegno, di stampa… Da lì ho realizzato che volevo fare la stessa cosa.
Dopo il liceo artistico, la scelta di continuare all’accademia è venuta spontaneamente. Poi ci ho messo qualche anno per capire che l’illustrazione era davvero la cosa giusta per me. Quando sono diventata freelance e ho iniziato a fare commissioni era il 2009.

Dall’accademia cosa ti sei “portata via”, per poi riutilizzarlo nel corso della carriera?

L’accademia è stata molto importante per me. Il corso che frequentavo era di pittura, però era molto aperto all’uso di installazioni, fotografia, video, e quindi, ogni volta che iniziavamo un progetto, venivamo “interrogati” sulle motivazioni della scelta di un medium piuttosto che un altro. Questa cosa mi è rimasta: nel momento in cui ho un’idea, mi faccio tutte queste domande per trovare il modo più efficace per realizzarla.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Carlotta Leone | courtesy: Paw Chew Go)

Quindi, quando nasce un progetto, in primis pensi a come farlo: libro, disegno, animazione…
Pensi che l’eclettismo sia una tua cifra stilistica, lavorando su tanti media diversi?

Sicuramente mi diverte cambiare tecnica. Mi piace vedere come il mio lavoro si può “tradurre” usando tecniche diverse. Si parte sempre, appunto, dall’idea iniziale, e penso se abbia più senso realizzarla come libro, come animazione… e poi da lì mi metto magari a sperimentare nuove cose che non ho mai usato.

C’è qualche tecnica che non hai ancora usato ma che ti incuriosisce?

Sì, ce ne sono molte, per esempio la ceramica. Però, anche lì, la scelta verrebbe dopo, nel momento in cui dovessi trovarmi ad affrontare un tipo di progetto che avrebbe senso fare in ceramica.

Vivi a Londra da diversi anni. Quando hai deciso di trasferirti lì, e come mai?

La primissima volta che sono stata a Londra avevo 18 anni. Era la prima vacanza da sola con amici in una grande città europea, e mi ricordo di aver pensato che avrei potuto viverci. E infatti poi ci sono ritornata con un’amica nel 2003, per sei mesi, dopo la laurea, per posticipare il più possibile il dover trovare lavoro. Avevo 24 anni. Era la prima esperienza del vivere da sola. Facevo la cameriera. Andavamo ogni sera a ballare, andavamo e a vedere concerti, mostre… Ho conosciuto lì il mio attuale ragazzo. Per cui Londra è diventata la mia città, la città in cui mi sono sentita grande, e soprattutto indipendente.
Dopo qualche anno il mio ragazzo è venuto a vivere con me in Italia, però l’idea di ritornare a Londra era sempre lì. Poi nel 2013 la decisione di tornare stabilmente.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Carlotta Leone | courtesy: Paw Chew Go)
La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Marco Bertino | courtesy: Paw Chew Go)

Dici — cito — «il punto cucito a mano diventa disegno. È una linea tratteggiata, un salto, una pausa che ha la funzione di tenere insieme gli strati di tessuto». Questo riguardo la tecnica del quilting — cioè fare le trapunte — a cui ti sei avvicinata negli ultimi anni.
Parli della tecnica un po’ come un linguaggio a sé.

Ho sempre avuto un’affinità con i tessuti, con il cucire. Fin da piccola provavo a fare i vestiti alle bambole, cucivo delle borsette, e mi piaceva rovistare nella borsa di mia mamma con tutti gli scampoli di tessuto.
Ho iniziato a fare quilting durante il lockdown. I primi tre erano giusto per provare, per capire come funzionava la cosa. Mettevo insieme rimasugli di stoffa che avevo a casa, per creare una coperta da usare davvero. Provavo pattern molto semplici.
Quest’anno ho iniziato a provare a “tradurli” nel mio lavoro. Li sto trattando più come un’illustrazione, che però ha senso fatta in tessuto. Considero il punto tratteggiato, il punto del quilting, come una linea tratteggiata che ricorda una pausa, un salto, e il processo di mettere insieme i pezzi di stoffa lo progetto come quando progetto un’illustrazione.

Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Carlotta Leone | courtesy: Paw Chew Go)

Sempre riguardo alla tecnica come linguaggio, penso anche ai timbri, che hai utilizzato e stai utilizzando. Il timbro che è sempre uguale ma che in realtà è sempre diverso, si consuma…

Sì, anche questa è una cosa che ho iniziato recentemente. Mi sembra che i primi lavori fossero dell’anno scorso.
Il timbro, come oggetto, mi è sempre piaciuto — quando sei piccolo ti piace usarlo, ripetere e ricoprire intere pagine.
Ho iniziato a pensare a frasi o simboli che acquistino senso quando vengono ripetuti con il timbro. Sono un po’ più degli esperimenti formali, di concetto, dove “gioco” con questa tecnica.

La ripetizione, come quella del timbro, è anche uno dei temi centrali della tua opera. Lo dici proprio: ripetere le cose per dare un senso che il singolo disegno non avrebbe.
Questo mi ha ricordato una delle “regole” della creatività esplicitate da Munari. Munari lo consideri come uno dei tuoi grandi maestri? Ce ne sono altri?

Munari sicuramente. E ce ne sono molti altri, sia artisti che designer, illustratori, scrittori. Per esempio Saul Steinberg, Sister Corita, Remy Charlip — il mio autore di libri per bambini preferito. Poi artisti come Ed Ruscha, Hans-Peter Feldmann.
Come illustratrice mi piace molto Leanne Shapton… Ce ne sono ovviamente moltissimi altri, e il bello è che si continua a scoprirne di nuovi.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Carlotta Leone | courtesy: Paw Chew Go)

Tu disegni molto poco le persone e molto gli oggetti, e dici che gli oggetti, da soli, possono raccontare una storia meglio di una trama, una frase…

Alcuni oggetti, lasciati in un certo modo, in un determinato spazio, vicini tra di loro, possono suggerire che qualcosa è successo, ed è successo lì.
In Mostri di casa l’idea era nata da un piccolo disegno che avevo fatto di alcuni oggetti che, combinati, creavano una silhouette che sembrava un mostro. Quindi ho immaginato una casa dove in ogni stanza c’era un mostro formato da tre oggetti che di solito si trovano in quella stanza. La bambina protagonista ci dice che la sua casa è piena di mostri, che in ogni stanza c’è un mostro (e lo descrive) e poi il mattino dopo, come per magia, quando sorge il sole, il mostro scompare.
Ovviamente è un libro che parla della paura del buio, ma secondo me parla soprattutto della paura delle cose che non si capiscono.
In Arrangements, una serie di lavori in acrilico su carta, mi piaceva trovare in giro per la casa dei gruppi di oggetti e vedere come interagissero tra di loro, come fossero disposti. E poi c’è il Museum of Rejected Objects, una sorta di documentazione di 100 sculture di creta di oggetti, appunto, rifiutati. Questi erano oggetti sia immaginati che ritrovati. Ogni oggetto ha una didascalia, o titolo, e molte volte è proprio il titolo che ti fa capire il motivo per cui era stato rifiutato.

Questa cosa del titolo che, in qualche modo, cozza, va a sbattere con l’immagine, e non è semplicemente la descrizione didascalica, è molto interessante e mi ricorda il “binomio fantastico” di Gianni Rodari — e forse anche lui potrebbe essere messo tra i maestri.

Sì, molte molte nel mio lavoro uso frasi e parole che trovo in giro. Sono pezzi di conversazione e mi piace quando prendo una frase, la tolgo dal suo contesto originale, e la associo a un disegno. Molte volte questo disegno va a rafforzare la frase, ma può anche cambiarne o confonderne il significato. Infatti trovo che, proprio quando si crea questa ambiguità, il lavoro in un certo senso prende vita.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Carlotta Leone | courtesy: Paw Chew Go)

Com’è la giornata lavorativa nel tuo studio di Londra?

Recentemente ho capito che preferisco dedicare la mattinata ai miei progetti personali. Ho visto che mi sveglio molto più contenta e con voglia di fare, e quindi continuo una cosa già iniziata oppure mi siedo e mi metto a pensare a nuove idee.
Dopo pranzo, invece, mi dedico ai progetti su commissione: guardo le mail e vedo cosa c’è da fare.
Cerco sempre di uscire, di lasciare l’appartamento per un’ora e andare a fare una camminata nei paraggi.

Tu dici di andare spesso in giro a cercare pezzi di frasi, parole, ma anche oggetti, cose scritte sui bigliettini, cose che le persone dimenticano. Sei una sorta di rigattiera delle cose che vengono lasciate in giro.

Mi piace molto trovare tracce, in giro, lasciate da esseri umani. Quindi quando vado a camminare, guardo sempre per terra. Amo trovare delle scritte, dei bigliettini persi dalle persone. O quell’oggetto caduto, che lì, sul marciapiede, prende un altro significato.
Mi piace anche quando trovo cartelli scritti a mano. Per esempio dal fruttivendolo, quando vedi le scritte col nome della frutta e della verdura, e iniziano normalmente in grande, poi non c’è più posto e le lettere alla fine sono tutte piccole e attaccate. È una cosa che mi fa sorridere.
Una volta, fuori da un macellaio a Lewisham, ho visto un cartello che diceva «3 polli, 5 sterline l’uno», e mi ha fatto pensare: avevano solo tre polli?
Ho fatto un poster ispirato a questo genere di cartelli, Avocados, dove la parola va ad attaccarsi al bordo della pagina.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Benedetta Dalla Rovere | courtesy: Paw Chew Go)

Quindi uno dei tuoi strumenti di lavoro è l’attenzione. Prestare attenzione alle cose che ti succedono attorno, che trovi in giro, anche le più banali, oppure a quelle che non ti succedono, cioè i sogni che fai di notte.

Il mio lavoro oscilla un po’ tra la memoria, il quotidiano e i sogni. Mi piace esplorare anche le situazioni più banali e insignificanti e vedere di trovarci dell’ironia o della poesia.
Ho cominciato l’anno scorso a tenere un diario dei miei sogni. Di solito a tutti piace raccontare i propri sogni, ma nessuno piace ascoltare i sogni degli altri, perché sono sempre racconti vaghi.
Quindi cerco di focalizzarmi su una cosa che è successa nel sogno, su una frase. Soprattutto su ciò che la mattina, quando me la ricordo, mi fa sorridere.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Benedetta Dalla Rovere | courtesy: Paw Chew Go)

Nel corso della tua carriera hai lavorato a diversi libri per l’infanzia. Nascono già così? Cioè li immagini già come libri per bambini? Te lo chiedo perché alcuni possono tranquillamente sembrare libri per grandi.

Quando inizio a lavorare a un libro per bambini, in realtà il mio approccio rimane uguale a quello di quando tratto un libro autoprodotto. Non necessariamente quelli che ho scritto sono partiti subito con l’idea di essere libri per bambini.

Dici che la parte più importante del lavoro è il processo — cioè qualcosa che decidi a priori, con regole, limitazioni.

Ho fatto una trilogia di libri — Rising, Yesterday’s clothes e One Minute Clock Drawings — dove parlo del tempo, fisso il tempo. Ognuno di questi libri, infatti, ha un disegno fatto ogni giorno per la durata di un anno.
In Rising disegnavo i letti disfatti. Quindi la mattina, prima di rifare il letto, lo disegnavo. Mi piaceva appunto vedere come il letto disfatto mostrasse i movimenti, la nottata del giorno prima, il cambio della stagioni — perché vedi il cambiamento delle coperte. Poi per me Rising ha preso anche un altro significato perché ha coinciso con l’anno in cui mi sono trasferita a Londra, quindi il momento in cui il letto è cambiato.
In Yesterday’s clothes, invece, disegnavo i vestiti lasciati sulla sedia la seria prima. Li disegnavo la mattina e notavo come, nel vederli lì buttati sulla sedia, era come vedere la versione di me stessa del giorno prima.
Nel terzo libro, quello degli orologi, il disegno veniva fatto in diversi momenti della giornata, quando mi veniva in mente «ah, sì, devo disegnare l’orologio». Disegnavo l’orologio e il minuto che avevo impiegato a disegnare. Quando ho iniziato, immaginavo di portarmi via dei fogli di carta e di disegnare anche orologi in giro per la città, dove capitava, e invece, mi sembra dopo un mese, siamo entrati in lockdown e quindi tutti gli orologi nel libro sono quelli della mia casa: della cucina, del forno, in camera, in sala. A parte una torre, che vedevo quando uscivo a camminare.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Benedetta Dalla Rovere | courtesy: Paw Chew Go)

Visto che trovi tante cose in giro — frasi, oggetti — cos’è che hai trovato in questi giorni, che magari poi in futuro vedremo in qualche tuo lavoro?

Ero a Bologna, in questi giorni, per la fiera del libro [l’intervista è stata registrata a marzo 2023, ndr] e, nella mattinata che mi sono presa per fare un giro in città, ho trovato e fotografato, sotto i portici, una scarpina di Barbie viola. Mi faceva ridere perché mi ricordo come le scarpine, quando hai una Barbie nuova, sono tra le prime cose che perdi. E anche perché, a Londra, molte volte trovo scarpe per strada: scarpe da signora lasciate in giro, e mi incuriosisce pensare a come qualcuno possa perdere una scarpa e non tornare a riprenderla.

Su che progetti stai lavorando attualmente?

A luglio uscirà un libro per bambini al quale ho lavorato metà dell’anno scorso. Sarà pubblicato in Inghilterra, per una casa editrice che si chiama Big Picture Press. È un libro sull’arte, sui movimenti artistici. Attualmente sto lavorando sul secondo volume della stessa serie, che è sulla musica.
Ho anche un paio di idee di libri per bambini che sto ancora scrivendo. Sono appena all’inizio. E poi sicuramente continuerò coi miei lavori su carta, su stoffa. E sogni, se mi capitano.

La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Marco Bertino | courtesy: Paw Chew Go)
La mostra di Eleonora Marton a Paw Chew Go Festival, BASE Milano, 6-7 maggio 2023
(foto: Benedetta Dalla Rovere | courtesy: Paw Chew Go)
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