Una mostra al PhMuseum Lab di Bologna presenta il lavoro dell’artista e designer portoghese: una riflessione sulla memoria, gli archivi digitali, la rappresentazione della realtà, l’AI e il sovraccarico di immagini
I nostri smartphone sono pieni di immagini. Così come le cartelle virtuali dei software coi quali archiviamo i nostri scatti — digitali o analogici che fossero in origine — e i server dei social network sui quali li pubblichiamo. Le nostre sono le prime generazioni della storia umana ad aver potenzialmente sempre con sé, in forma di bit dentro al telefono e sull’inafferrabile cloud, l’intero archivio fotografico della propria esistenza: una “memoria in tasca”, costruita su migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di frammenti, più o meno significativi, ai quali (sempre di più, da quando abbiamo a disposizione la possibilità di scattare idealmente all’infinito) affidiamo la (ri)costruzione di ciò che abbiamo vissuto e, da lì, di ciò che siamo o che vogliamo che gli altri pensino che siamo. Il compito che assegnamo al mezzo fotografico, tuttavia, va ben oltre le possibilità del medium stesso: nessuno scatto potrà mai davvero catturare la realtà nel suo complesso; sigillare il ricordo e metterlo sotto vuoto in attesa di essere rivissuto.
«20GB di immagini, tracce di luce, intrappolate in una scatola di plastica scura. I ricordi sono solo fughe di luce. Si tuffano nelle profondità dei nostri pensieri e trovano un posto dove mutare e divergere lentamente dal reale. Ma cosa è reale? Può essere catturato con una fotocamera? Riguardo quelle immagini e vedo frammenti della mia memoria. Costruiscono rapidamente paesaggi e soggetti. Manca sempre qualcosa, incompleto… si offusca velocemente, svanisce. L’immagine sembrava fornire risposte, ora sta solo ponendo sempre più domande» scriveva l’artista portoghese Sara Bastai qualche anno fa presentando il suo progetto Gel Illusions, nel quale tentava di ricostruire «tutto quello che sta tra ciò che ricordo e ciò che ho catturato con le immagini. Tentativi, che vanno dissolvendosi, di ricostruire ciò che non ho mai visto, ma ho sempre saputo che era lì».
Classe 1996, formatasi inizialmente come graphic designer, Bastai ha poi studiato fotografia in Svizzera, all’ECAL, l’École cantonale d’art de Lausanne, perché, come dichiarò in un’intervista a Coeval Magazine, «mentre lavoravo come graphic designer a Barcellona sono giunta alla conclusione che volevo essere più coinvolta nello sviluppo del contenuto stesso, piuttosto che combinare splendidamente immagini e testo».
Da allora Bastai si divide tra Losanna e Porto e realizza progetti multidisciplinari che stanno spesso all’intersezione tra immagine fotografica, memoria, archivi digitali, tecnologia e comportamenti umani.
Su questo solco si inserisce anche RAM, un’affascinante serie che l’artista ha presentato nel 2021 come suo progetto di tesi.
Partendo dalle sue stesse foto, più precisamente dall’archivio personale sul suo smartphone, Bastai ha fatto “leggere” le immagini a un’Intelligenza Artificiale image to text, cioè capace di “riconoscere” (le virgolette sono d’obbligo, in questo caso) gli elementi e la composizione, descrivendo il tutto, appunto, con un testo.
Le didascalie generate, le ha poi usate come punto di partenza per andare a produrre nuove fotografie, che sono dunque delle messe in scena di situazioni reali descritte dagli algoritmi dell’AI: dei “nuovi ricordi fabbricati” li definisce l’artista.
Dal 2021 a oggi, Bastai è tornata più volte su RAM, realizzandone diverse versioni. L’ultima — RAM_4.0 — è in mostra dal 18 maggio scorso presso PhMuseum Lab, a Bologna, spazio multifunzionale dedicato alla fotografia, che con questa esposizione presenta un’anteprima del festival PhMuseum Days, la cui terza edizione si aprirà il prossimo settembre.
«In queste fotografie Bastai gioca con gli angoli, le inquadrature, il corpo e le espressioni facciali per mostrarci una rappresentazione potenziata della società. Il glamour e i dettagli umoristici, a tratti banali, sono strumenti per riflettere sulla produzione di massa e il sovraccarico di immagini che caratterizzano la nostra quotidianità. Ci mostrano come potrebbe pensare un sistema di intelligenza artificiale ed evidenziano le problematiche legate alla privacy e alla rappresentazione della realtà in funzione di un certo dataset» spiega il comunicato della mostra, che sarà visitabile per tre venerdì (26 maggio, 9 giugno e 16 giugno, dalle 17,30 alle 19,30) per poi riaprire in occasione del festival (22 settembre – 1º ottobre 2023).