Design per il mondo reale: la bibbia del design militante

“Fra tutte le professioni, una delle più dannose è il design industriale. Forse nessuna professione è più falsa”. Con queste parole inizia uno dei libri di settore più letti al mondo, tradotto in più di venti lingue, ancora oggi considerato la bibbia del design politico e sociale. Design per il mondo reale è stato pubblicato per la prima volta nel 1970, esce oggi per Quodlibet in una versione curata da Alison J. Clarke ed Emanuele Quinz, con una nuova introduzione, nuove note e nuova postfazione.

Victor Papanek, “Design per il mondo reale”, a cura di Alison J. Clarke e Emanuele Quinz, Quodlibet, 2022.

L’autore Victor Papanek nasce a Vienna nel 1923. All’età di quindici anni emigra negli Stati Uniti in seguito all’occupazione tedesca dell’Austria. Studia architettura: fra i suoi insegnanti vi saranno diversi nomi importanti, come l’architetto Frank Lloyd Wright.
Vivere in America, a New York, alla fine degli anni Sessanta, voleva dire essere nel centro della cultura capitalista dell’epoca. Quel mondo del design era dominato dallo styling e lo streamlining, due stili che concepivano il disegno industriale soprattutto in senso commerciale, una sorta di scocca estetica costruita sugli oggetti per poterli vendere meglio. L’idea generale era quindi che il progetto fosse uno strumento pienamente in linea con sistema consumistico: scopo del designer era ideare nuove forme con l’obiettivo di vendere meglio le merci prodotte. Papanek è critico su questo modo di intendere la disciplina: lavorerà durante tutto l’arco della sua vita per provare a dare un nuovo ruolo sociale, politico, morale al design e ai designer. Chi progetta è responsabile di quello che viene prodotto e l’obiettivo è fornire una risposta a bisogni reali contro i bisogni artificiali imposti dal mercato. Questa nuova idea sul progetto è la posizione centrale affrontata da Design per il mondo reale, un libro precursore, ancora oggi considerato una lettura fondamentale per capire molti temi del design moderno e contemporaneo.

Stufa messicana realizzata con targhe usate.

Il nuovo approccio politico, sociale, anti mercantile sulla disciplina ha portato l’autore ad anticipare una sensibilità ecologica che è diventata oggi centro del tema progettuale, ma che alla fine degli anni Sessanta era una vera novità. Produrre nuove merci ha un impatto ambientale. Al designer viene chiesto di porsi in modo critico nei confronti della cultura dell’usa e getta. Papanek accusa soprattutto l’obsolescenza programmata, l’idea che i designer progettino non solo le merci ma anche la loro fine anticipata, perché così vuole il mercato: un ricambio continuo di articoli per alimentare bisogni indotti, una produzione di merci che asseconda le logiche consumiste ma non le esigenze reali delle persone. Il suo è un ecologismo politico, militante, una critica al sistema consumista che precedeva l’attuale consapevolezza sul riscaldamento climatico. Prima delle conseguenze ambientali si pone la questione se questo modo di produrre ha senso, se è sostenibile prima di tutto dal punto di vista morale e quindi poi ambientale.

Progetto sperimentale di un veicolo a trazione muscolare, 1969.

Altro tema centrale di questo libro è l’attenzione alla produzione locale autoctona, legata ai luoghi o a regioni specifiche del mondo. Papanek viveva in un contesto in cui la disciplina del design faceva parte quasi esclusivamente della cultura dominante: quella occidentale, bianca, ricca, inserita nell’economia di mercato. Cerca però di dimostrare come non esista un unico sapere progettuale, ma tanti diversi contesti che si traducono in diversi modi di interpretare il progetto, i prodotti e i bisogni. Non vede il design come un solo grande linguaggio unificatore, semmai come un sistema dentro il quale ognuno può definire il suo criterio progettuale. Dimostra così una certa diffidenza nei confronti dell’international style proposto dal Bauhaus e pone già all’epoca una forte critica a quel fenomeno sociale chiamato globalizzazione.


Radio ricevente per il Terzo Mondo, realizzata in latta di frutta usata, cera e sterco secco di mucca. Ogni popolazione può decorare la radio secondo i propri gusti. Progetto di Victor Papanek e George Seeger per l’Unesco, 1969.

Il linguaggio utilizzato da Papanek è volutamente discorsivo e non tecnico. Nonostante ci sia la bibliografia più lunga che abbia mai trovato in un libro, e nonostante Papanek sia stato un importante professore universitario in prestigiose facoltà, il testo non segue il metodo accademico ed è a volte è poco rigoroso dal punto di vista scientifico. Manca spesso di citare le fonti, in alcuni casi fa errori anche grossolani (tutti evidenziati dalle fondamentali note a margine di questa edizione). L’obiettivo non è quello di una pubblicazione rigorosa, meticolosa, ma è quello di realizzare un libro-manifesto, sentito, appassionante, capace di smuovere le coscienze. Ha preferito essere a volte impreciso piuttosto che rischiare di risultare freddo, noioso. L’autore decide di utilizzare tutte le sue indiscutibili qualità critiche e argomentative per emozionare e arrivare al cuore dei lettori.

Victor Papanek, “Design per il mondo reale”, a cura di Alison J. Clarke e Emanuele Quinz, Quodlibet, 2022.

Papanek vive un rapporto con i prodotti ambivalente, combattuto. Da una parte ha una radicale avversione per gli oggetti, è critico verso la merce fisica, per lui l’obiettivo ultimo sarebbe la fine dei prodotti fisici, il sogno è la loro totale eliminazione: dall’altra parte questa posizione radicale è di fatto un annullamento del compito primario del designer intrinsecamente legato al mondo delle cose.
Il designer vive ancora oggi questa contrapposizione tra la contestazione della merce ed esserne l’ideatore, tra critica alla produzione e produttore. Questo sentimento è ora fortemente diffuso e Papanek ne è stato certamente un precursore, anticipando molti dei dubbi e delle domande che oggi fanno parte del design contemporaneo.

Victor Papanek, “Design per il mondo reale”, a cura di Alison J. Clarke e Emanuele Quinz, Quodlibet, 2022.

Il progettista non è più visto come un tecnico capace di ideare merci, ma un pensatore che cerca di dare un perché agli oggetti che produce. All’epoca il design era considerato un ambito prettamente tecnico, Papanek lo sposta nel campo umanistico: non più un mestiere legato soprattutto alle conoscenze sui materiali o ai sistemi di produzione, ma una forma di pensiero che coinvolga discipline nuove, come la sociologia, l’antropologia, la filosofia, l’educazione civica. Al designer non viene più chiesto di essere un professionista al servizio della vendita di nuovi prodotti, ma di avere un ruolo politico nei confronti della produzione. Al designer non viene più richiesto di realizzare semplicemente la “bella forma”, ma di dare una senso alle cose che progetta.

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