Ovunque, esplorazioni cromatiche del mondo queer: intervista agli autori, Barbara Orlandini e Gianluca Sturmann

La sera del 27 giugno 1969, come tante altre sere prima di quella, la polizia fece irruzione allo Stonewall Inn, uno dei pochi bar gay nel quartiere di Greenwich Village a New York, per arrestare chi si trovava al suo interno. Ma quel 27 giugno per le forze dell’ordine le cose non andarono come previsto: dopo aver subito per anni i loro soprusi, in molti decisero di rispondere alla loro violenza, dando vita a scontri che durarono per giorni. Era l’inizio del movimento di liberazione gay, erano i moti di Stonewall.

In quei momenti, uno slogan veniva ripetuto dalle tante voci della comunità queer presenti nel Greenwich Village: «Noi siamo ovunque». Tre semplici parole che ben rappresentavano il diritto ad essere visti, rispettati e liberi di essere diversi. Una parte di quello slogan è diventata il titolo di un libro per ragazzi edito da BeccoGiallo e realizzato da Barbara Orlandini, autrice e consulente di comunicazione, e Gianluca Sturmann, illustratore e grafico: Ovunque, esplorazioni cromatiche del mondo queer è una guida per giovani adolescenti alle prese con l’esplorazione di sé stessi, è un viaggio attraverso la storia di un movimento che non ha mai smesso di lottare per i propri diritti, è un diario da risfogliare nei momenti in cui il buio fuori fa perdere orientamento alla propria bussola interiore.

Gli 8 capitoli che lo compongono, uno per ogni colore della bandiera arcobaleno creata dall’attivista e artista Gilbert Baker negli anni ’70 assieme al bianco e al nero, iniziano dalle radici del movimento queer, passano per temi importanti come salute mentale e intersessualità, parlano di linguaggi, di spiritualità, di stereotipi e discriminazione, ma anche di vittorie conquistate nel tempo, raccontano le storie di personaggi che hanno dato fondamentali contributi alla comunità e lasciano spunti per esplorare da soli tutto quello che si può ancora scoprire di questo mondo attraverso libri, documentari, film e molto altro.

Quando lo chiudo, dopo averlo divorato e completato nelle sue parti interattive, non riesco a non pensare che sia un libro che possa fare bene a tutti, ai giovani e anche a quelli che non lo sono più. La prima volta che lo dico ad alta voce a qualcuno è una mattina di settembre, mentre chiacchiero virtualmente con Barbara e Gianluca.

Barbara Orlandini
Gianluca Sturmann

Come vi siete conosciuti voi due?

Barbara

A gennaio 2020 sono entrata nel team di uno studio creativo di Bologna, all’interno del quale Gianluca già lavorava. Quando abbiamo cominciato in maniera molto embrionale a ragionare sulla prima opzione di libro, ci conoscevamo solo da due mesi. A maggio di quell’anno, circa, Gianluca ha trovato un concorso per un progetto editoriale, che si è trasformato nella prima scintilla per iniziare a lavorare al libro. 

Gianluca

C’era questo bando a cui abbiamo partecipato perché avevamo un progetto editoriale che rientrava nelle linee guida. Il bando poi non ha avuto esito positivo, ma ci ha dato la spinta per ampliare il progetto, fare delle prove e avere qualcosa di chiaro da presentare ad un editore. 

Proprio perché vi siete conosciuti molto poco prima di immergervi in Ovunque, com’è stato lavorare assieme ad un libro? 

Barbara

In parte è stata una fortuna: il fatto che non ci conoscessimo ha fatto sì che non entrassero in gioco degli aspetti emotivi che avrebbero potuto in un qualche modo influenzare l’esito. Parlo per me, ovviamente, perché è molto soggettivo. La recentissima conoscenza ci ha permesso di relazionarci tra di noi in una maniera molto professionale, nonostante fosse un progetto extralavorativo. Comunque stavamo lavorando a qualcosa che ci coinvolgeva molto emotivamente, non di certo ad un libro sul funzionamento del sistema solare. La scintilla originaria, non a caso, è stata l’essere coinvolti in prima persona nel mondo queer e nel libro abbiamo parlato indirettamente anche di noi, nonostante non fosse un’autobiografia o biografia. Ovunque è un libro costruito insieme, pagina per pagina. 

Gianluca

Quello che diciamo spesso è che abbiamo realizzato un libro che avremmo voluto leggere tra i 12 e i 14 anni. L’empatia nei confronti dei temi del libro è molto alta, e ti porta ad avere questa grande passione nel cercare insieme di risolvere le pagine, i temi, andare avanti. Abbiamo lavorato sempre decidendo tutti gli argomenti insieme, Barbara li ha scritti, io li ho disegnati, ma c’è stato molto confronto. Per come si incastrano le immagini nei testi e viceversa ci tenevamo che si percepisse il lavoro a quattro mani. 

L’emotività nel costruire un libro come questo è più un limite o un valore aggiunto? 

Barbara

Penso che sia un gran punto di forza: una storia acquista valore e potenza nel suo diffondersi quando prende forma, e tante volte prende forma attraverso le storie delle persone singole che questa storia vanno a comporla. Parlare in maniera generica o astratta di un argomento, come di diritti, di manifestazioni, di concetti, a volte potrebbe creare distanza, sia con un pubblico giovane che con uno adulto. Da che mondo e mondo, la narrazione attraverso racconti epici, così come attraverso storie di personaggi maschili o femminili, ti permette di identificarti, ti permette di trovare qualche assonanza anche se la storia è lontana da te, ti permette di innescare un gioco di specchi che qualcosa ti fa risuonare. Raccontare la propria storia credo che sia un modo, magari indiretto, per dare tridimensionalità alla lotta, alla voce dei diritti, che altrimenti rischiano di rimanere su un piano astratto e, appunto, lontano. 

Gianluca

Secondo me, uno dei lavori che abbiamo fatto durante la stesura del libro e che in parte per noi coincide come una sorta di attivismo, è il fatto di rendere visibile l’invisibile. Portare alla luce delle storie che magari sono dimenticate o che magari le scuole o la narrazione a cui siamo soggetti e soggette non ci portano. Per noi è stato il tentativo di creare qualcosa di corale, che andasse ad implementare quelle lotte. Okay Stonewall, però forse riusciamo ad ampliare l’immaginario della nostra comunità se raccontiamo di uno scienziato trans, se raccontiamo di Darwin sotto un altro aspetto, se parliamo di un’attivista trans italiana come Marcella Di Folco

Data la sensibilità che c’è oggi su alcune tematiche e il poco margine per gli errori, avete mai avuto timore di esservi espressi male, di aver tralasciato qualcosa, di poter aver offeso qualcuno o qualcuna? 

Barbara

Tantissima prima, durante, e anche dopo. Per ovviare a questa paura, da un lato abbiamo cercato di coinvolgere altre persone che non fossimo solo noi due, proprio per avere punti di vista anche esterni. Ad esempio abbiamo sottoposto il testo che parla di intersessualità, nel capitolo verde, a un collettivo che si occupa di queste tematiche. Al di là di questo, quello che abbiamo cercato di fare è stato tenere l’attenzione sempre alta, senza dare niente per scontato e cercando soprattutto di avere uno sguardo più vigile possibile nel ricreare un racconto corale. Non volevamo creare disparità mettendo, ad esempio, più personaggi maschili o femminili, o tratti marcatamente occidentali. Volevamo che anche la rappresentazione visiva fosse più inclusiva possibile. Non è stato semplicissimo perché, per forza di cose, tuttǝ e due viviamo in una società in cui alcuni racconti sono più frequenti di altri, quindi è facile disegnare sia per immagini che per parole una certa narrazione. Su tante cose siamo ritornatǝ in fase di revisione una volta finito il libro, passando al microscopio ogni contenuto. Siamo consapevoli del fatto che qualcosa, anche in buona fede, potrebbe esserci sfuggita o meno. Fino ad ora, anche chi lo ha letto, non ha sollevato grandi critiche o mancanze, e già questa è una enorme vittoria. 

Gianluca

Penso che siano dubbi che si hanno sempre quando si fa divulgazione di qualsiasi materia: essere esaustivi, essere corretti, avere dato il numero di informazioni giuste o meno, aver fatto passare un messaggio, ecc. Le grandi differenze sono due: per prima cosa, in questo caso noi parliamo di persone, di comunità, quindi la responsabilità si amplifica; la seconda cosa è che alcuni argomenti in qualche modo ci riguardano o riguardano le cose in cui crediamo, il mondo in cui stiamo e che vogliamo, quindi la responsabilità diventa doppia, anzi tripla. Abbiamo cercato di creare uno strumento propedeutico per tantissime persone, scritto, impaginato e disegnato in modo tale che una persona minorenne ne possa usufruire, ma che anche una persona di 90 anni lo possa trovare utile. Ci è capitato che alcune persone ci dicessero che lo avrebbero regalato alla propria madre, altri invece che si trovano ancora in famiglie dove si fa fatica ad accettare certi modi di parlare, certi modi di dire le cose, di trattare i temi. Perciò oltre a dire le cose giuste, oltre a dirle perché stai cercando di dare il tuo apporto positivo, c’è anche il fatto di creare uno strumento per una forbice larghissima di persone. Insomma, questa responsabilità l’abbiamo sempre sentita e ci siamo chiesti diverse volte come fare a divertirci nonostante ci fosse questa grande responsabilità. In qualche modo ci siamo riusciti. 

All’inizio del libro specificate di aver fatto una selezione di contenuti perché altrimenti sarebbe venuta fuori un’enciclopedia. Come li avete scelti? 

Barbara

Abbiamo creato prima di tutto un enorme contenitore con tutto quello che, secondo noi, aveva senso prendere in considerazione. Poi, nella fase di scelta, abbiamo cercato di dare la priorità a quelle storie, quei contenuti, quelle informazioni o aneddoti che potevano contribuire a creare un quadro che fosse più completo e inclusivo possibile. Il che vuol dire che per forza di cose abbiamo dovuto scegliere di non inserire alcune storie, perché magari costituivano quasi dei doppioni o erano accessori di altre storie molto più importanti, oppure le abbiamo raccontate in modo molto conciso; abbiamo cercato anche di creare un equilibrio che includesse la storia italiana: abbiamo dato a Marcella Di Folco lo stesso spazio che abbiamo dato ad Harvey Milk, è stato un nostro modo di ridare il giusto peso a certe storie. È stato un lavoro di fino e di cesello per non creare un quadro complessivo che fosse scontato anche per chi fa parte della comunità e certe storie già le conosce, permettendo a chiunque di trovare qualcosa di nuovo e prezioso.

Gianluca

Innanzitutto volevamo fare emergere delle cose a cui normalmente è difficile attingere. Ma, come dicevo prima, abbiamo cercato anche di divertirci partendo da noi: a me, per esempio, David Bowie piace moltissimo, è uno dei miei artisti preferiti, perciò non poteva non esserci. E poi è stato bello mettere sullo stesso piano Harry Styles, David Bowie stesso, Marcella Di Folco, che stride se la guardiamo con un occhio intellettuale, però è anche quello un messaggio: ovunque è veramente ovunque, che sia lo star system, la musica ricercata, la scienza o altro. Il titolo del libro, Ovunque, è stata una lente nelle nostre scelte.

Notavo che gran parte degli eventi storici raccontati nel libro si riferiscono al mondo americano, mentre sono molte poche le pagine dedicate alla storia del movimento queer nel nostro paese. Ci siamo dimenticati di guardare cosa succedeva a casa nostra e abbiamo direzionato tutta la nostra attenzione altrove? 

Gianluca

Bisogna riconoscere che questo non è un libro che vuole raccontare la storia del movimento in Italia. Ci sono libri che la raccontano molto bene, come Fuori i nomi di Simone Alliva. Abbiamo cercato di non essere troppo filoamericani, ma allo stesso tempo volevamo comunque ricreare una certa mondialità nel trattare i temi. Per noi occidentali l’America è un grande polo, da dove sono partiti tanti moti. Il che ovviamente non significa che da noi non sia avvenuto nulla. Il nostro obiettivo era riportare in quella mondialità, che citavo prima, anche il nostro paese con realtà e personalità come il Fuori!, Mariasilvia Spolato, il Cassero

Barbara

Da un lato ci sono dei fatti che hanno una ricaduta su altri paesi: in differenti momenti storici, per altri argomenti, eventi accaduti in Italia hanno avuto all’estero un effetto importante a livello internazionale. Se parliamo di storia del movimento queer è abbastanza innegabile che i moti di Stonewall costituiscano uno dei principali, se non il maggiore, punto di rottura. Questo non significa che quanto accaduto in Italia sia inferiore perché comunque, contestualizzandolo all’interno del momento storico e della situazione geopolitica italiana del ‘900, da noi forse è servito molto più coraggio, dato che i passi in più da fare erano moltissimi. La storia geopolitica italiana è molto diversa da quella americana, anche solo per questioni di dimensioni, sia territoriali sia della popolazione e inevitabilmente loro costituiscono una cassa di risonanza maggiore. Il nostro intento di puntare comunque una luce continuamente sull’Italia non era un modo per metterci a paragone con il resto del mondo ma esattamente il contrario: fare in modo che una persona giovane che non conosce la storia del movimento italiano avesse dei punti di partenza chiari, che poi magari approfondirà. 

Nel capitolo arancione, ho apprezzato molto che abbiate messo in evidenza un aspetto di cui si parla molto poco, ovvero l’impatto che ha sulla salute mentale delle persone essere una minoranza. 

Barbara

Rientra in una trasformazione che sta avvenendo in questo momento, perché noto che, queer o non queer, c’è una liberazione da certi preconcetti di salute mentale, di benessere, di forma, di apparenza, di prestazione, anche psicologica, che tante volte ci si trova a dovere rispettare. Quello che abbiamo voluto fare, per tutto il libro, è di suggerire alle persone di essere ciò che vogliono essere, e questo, per forza di cose, passa attraverso momenti felici ma anche stati di depressione, di rabbia, di frustrazione, e va bene così. Non è un problema tuo di debolezza, di difetto, di mancanza se dentro di te vivono anche delle sensazioni che sono negative. Tante volte quello che passa è che sia una debolezza non riuscire a sostenere una certa identità, una certa espressione di sé. È un argomento molto delicato, ma anche fondamentale. Non volevamo dare l’idea che il mondo queer fosse un mondo fantastico, meraviglioso, in cui le persone stanno sempre bene e sono sempre sorridenti e colorate. Bisogna darsi, ogni tanto, l’autorizzazione di sentirsi fragili, mentalmente e fisicamente, e ricordarsi che si tratta di una fragilità condivisa. Quando si parla di bullismo o di discriminazione, a volte si colpevolizza la persona che subisce, perché non è stata abbastanza forte da reggere un confronto con il mondo esterno. Per questo in più punti del libro abbiamo sentito l’urgenza di scriverlo forte e chiaro: non è colpa tua se qualcuno ha degli atteggiamenti aggressivi o violenti nei tuoi confronti e no, non c’è niente di cui vergognarsi nel parlarne e chiedere aiuto, anzi, è importante farlo: condividere una propria fragilità non significa essere persone deboli, ma al contrario può essere l’inizio di un percorso di liberazione e coraggio incredibile.

Gianluca

Non si parla molto di minority stress perché la rappresentazione che viene data delle persone che appartengono alla comunità è sempre stereotipata, e spesso non è fatta da persone che appartengono alla comunità. Perciò le persone che non appartengono alla comunità fanno fatica a capire quali possono essere i veri sentimenti, i veri stati d’animo. Minority stress è una cosa che, se nessuno non ne ha mai sofferto, anche se in qualche contesto sociale può succedere che qualcuno possa accusarlo, quando lo prova, difficilmente riesce a dargli un nome. Non è raro che membri della comunità non sappiano cosa sia quando sentono le parole “minority stress”. Perciò il fatto che la società apprenda cose da definizioni stereotipate o comunque non veritiere per via della loro sorgente poco realistica aumenta il non parlare di questo genere di cose. Nella mentalità di tante persone se ti sei messo lo smalto e ti hanno menato, cosa ti aspettavi?

Secondo voi, ci si libera prima degli stereotipi o della fobia? 

Gianluca

Gli stereotipi aumentano la fobia. Ci sono tante cose nella società che probabilmente ci allontaneranno da certi stereotipi, ma probabilmente ne creeranno altri, basti pensare che oggi c’è qualcuno che pensa che essere gay o fare la transizione sia di moda. Non so se ci si libera prima degli stereotipi o dell’omofobia, non vedo le due cose così distanti, perché quando uno ha degli stereotipi vuol dire che assume delle cose che non sono reali, e sono proprio quelle cose che non sono reali che fanno scattare l’odio, la violenza e simili. Bisognerebbe sbarazzarsi di tutte e due in un colpo solo. 

Barbara

Di base credo siano entrambi meccanismi alimentati principalmente dalla paura, paura di qualcosa che spesso poi non si conosce realmente, ma solo per sentito dire e in modo esageratamente superficiale. Ciò che è altro e diverso da noi può spaventare, soprattutto se non ci si dà la possibilità di capire davvero chi questo altro sia.
Tante volte quello che è alla base di stereotipi e di pregiudizi coincide con un’immagine falsata del mondo queer in generale. Uscire e essere ovunque è un modo per creare se non altro un’immagine più veritiera, più reale. Nel libro abbiamo deciso di inserire anche persone che non fanno parte del mondo dello spettacolo, perché non è detto che una persona queer debba per forza avere una carriera artistica, ma può essere chi desidera, anche un ingegnere spaziale o un accademico di successo. 

Avete già ricevuti riscontri riguardo il libro? 

Gianluca

Messaggi ancora non ce ne sono arrivati, ci piacerebbe però che arrivassero. Molte persone, nel contesto delle presentazioni dove c’è un po’ più di confronto, ci hanno detto spesso che sarebbe perfetto come strumento nelle scuole, che sarebbe da dare agli insegnanti, che sarebbe un ottimo metodo tra le parti interattive, i testi molto leggibili, le illustrazioni molto chiare. Una mia amica, nello specifico, ha provato a portarlo nelle scuole, a maggio in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, ed è andata molto bene. Già questa è una bella soddisfazione. 

Barbara

A me qualche messaggio è arrivato. Un ragazzo mi è rimasto nel cuore, mi si è avvicinato durante la prima presentazione a Bologna, è in transizione e mi ha detto che grazie al libro è riuscito a spiegare ai suoi nonni il percorso che stava facendo. Una nonna, invece, alla presentazione a Parma, ha preso un paio di copie da regalare alle proprie nipoti e ha specificato che prima di regalargliele, le avrebbe lette lei, perché spesso tornano da scuola con termini o dubbi e vuole essere preparata. Per ora non ci sono però arrivati feedback da giovani in target, ovvero alunnǝ delle scuole medie, sono per lo più riscontri da adulti. Il primo ottobre però faremo il primo laboratorio Ovunque al Festival Moltiplicazioni, a Rovereto, e sarà l’occasione per testare le parti interattive del libro in ambito educativo.

Barbara Orlandini, Gianluca Sturmann

Ovunque. Esplorazioni cromatiche del mondo queer

BeccoGiallo, maggio 2022
208 pagine, brossura con alette

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