Due secoli di storia della fotografia, in un libro

Nel 1838, per reclamizzare il suo dagherrotipo, che fu uno dei primissimi procedimenti fotografici, il fisico e chimico francese Louis Daguerre fece uscire una pubblicità che cominciava così: «Con questo procedimento, senza alcuna nozione di disegno, senza alcuna conoscenza di chimica e fisica, si potranno riprendere in pochi minuti le vedute più dettagliate, i siti più pittoreschi, poiché i mezzi di esecuzione sono semplici, non richiedono alcuna conoscenza speciale per essere praticati: per una riuscita perfetta servono solo cura e un po’ di allenamento».
Quasi 200 anni dopo, sul sito di Generated Photos, servizio online che permette di generare — tra le altre cose — ritratti fotografici di gente che non esiste, si legge: «Immagini da modelli uniche e facili da ottenere. Migliora i tuoi lavori creativi con foto generate completamente dall’Intelligenza Artificiale».

È tra questi due testi pubblicitari che, secondo Walter Guadagnini, sta l’intera storia della fotografia, dai primi esperimenti ai confini tra scienza, arte, industria e “magia”, ai nuovi paradigmi offerti prima dal digitale e poi dalla Artificial Intelligence — che hanno messo in discussione il noema della fotografia espresso da Roland Barthes nel suo seminale saggio La camera chiara, e cioè la (finora) inevitabile caratteristica intrinseca della fotografia di attestare ciò che effettivamente è stato: se c’era la foto, significava che ciò che essa mostrava era stato, in un dato momento, davanti all’obiettivo.

Pierre-Louis Pierson, “Scherzo di follia”, 1861-1867
New York, The Metropolitan Museum of Art 
Frances Benjamin Johnston, “Autoritratto con sigaretta e boccale di birra, nel suo studio”, 1896
Washington D.C., Library of Congress 

Grande esperto di questo linguaggio — direttore di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, direttore artistico del Festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, docente di Storia della fotografia all’Accademia di Belle Arti di Bologna, oltre che curatore di mostre e pubblicazioni, e autore di numerosi saggi — Guadagnini ha di recente firmato un poderoso volume, pubblicato da Skira, che ripercorre questi quasi 200 anni di storia dell’immagine fotografica in due sensi: i sedici capitoli, che vanno ad affrontare altrettanti temi chiave di quest’arte, procedono in maniera cronologica; al contrario, gli inserti fatti di sole immagini, che offrono un meraviglioso intervallo tra le diverse serie di saggi, seguono invece il filo del tempo a ritroso, partendo da una significativa installazione presentata nel 2019 dall’artista e geografo statunitense Trevor Paglen al Barbican Centre di Londra — From “Apple” to “Anomaly”, che presentava decine di migliaia di foto provenienti da ImageNet, enorme database col quale vengono “addestrate” le Intelligenze Artificiali — e arrivando infine alla celebre Veduta dalla finestra di Le Gras, di Joseph Nicéphore Niépce, che risale al 1827 e viene considerato come il primo esempio di immagine fotografica.

Walker Evans, “Disoccupati durante Grande Depressione”, California, 1938
Collezione privata 

Intitolato Fotografia. Due secoli di storie e immagini, il libro di Guadagnini si sviluppa in maniera molto intelligente. Laddove le “storie della fotografia” solitamente faticano a star dietro ai periodi storici, alle scuole, alle innovazioni tecnologiche, alle tematiche e soprattutto ai nomi (specialmente quando si arriva a ridosso del presente, con un panorama ancora non opportunamente storicizzato, col rischio di lasciar fuori autrici e autori che un giorno saranno forse considerati fondamentali, e inserendo invece nomi assai “caldi” ora ma destinati a raffreddarsi col tempo), trovandosi a dover scegliere quale storia della fotografia raccontare, l’autore propende invece per dare la priorità alle idee.
«È una necessità, in un caso come questo» scrive Guadagnini, «dove il tempo non ha ancora fatto la sua cernita (due secoli possono sembrare tanti a chi si occupi di fotografia, ma sono pochissimi se misurati sul metro, ad esempio, delle arti) e dunque molto è ancora presente, o passato prossimo, e sotto tale luce tutto (o quasi) appare ancora significativo. Il rischio è quello del susseguirsi di elenchi di nomi, sempre più fitti a mano a mano che ci si avvicina all’oggi; abbiamo voluto calare i nomi nelle vicende concrete e nei pensieri che le hanno originate o seguite, o in altri casi considerare pochi nomi come esemplari di un clima, di un più ampio spirito del tempo, nella convinzione che questo termine abbia ancora un suo senso. E nella convinzione che in un racconto soggettivo le scelte, le esclusioni e le inclusioni siano parte della narrazione stessa, siano parte delle ragioni stesse della scrittura».

A proposito di scrittura, quella di Guadagnini ha il pregio di coinvolgere, oltre che informare. E quello che lui propone non è solo un itinerario all’interno di un arte, ma si allarga a diventare un viaggio nella società che l’ha vista nascere, che l’ha trasformata e che da essa, innanzitutto, è stata trasformata. Un viaggio che si conclude con un «Continua…» e rimanda alla prima immagine, quella dell’installazione di Paglen, già immersa in quello che probabilmente sarà il prossimo futuro.

Walter Guadagnini

Fotografia. Due secoli di storie e immagini

Edizioni Gallerie d’Italia / Skira, 2022
352 pagine, cartonato

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Malick Sidibé, “Amis des Espagnols”, 1968
(courtesy: Gallery Fifty One, Anversa | © Malick Sidibé)
Claudia Andujar, “Il giovane Susi Korihana thëri in un ruscello – Catrimani, Roroiama”,
dalla serie “The Forest”, 1972-1974
(courtesy: Galerie Vermelho | © Claudia Andujar)
Sandy Skoglund, “Revenge of the Goldfish”, 1981
(courtesy: Paci contemporary Gallery, Brescia | © Sandy Skoglund)
Shirin Neshat, “Speechless”, 1996
(courtesy dell’artista e Gladstone Gallery | foto: Larry Bams | © Shirin Neshat)
Joan Fontcuberta, “The Miracle of Dolphinsurfing”, dalla serie “Miracles & co.”, 2002
Masao Yamamoto, “#1534”, dalla serie “Kawa = Flow”, 2008
(© Yamamoto Masao Kawa)
Erik Kessels, “24HRS in Photos”, 2011, installazione al FOAM, Amsterdam
(foto: Gjis van der Berg | courtesy dell’artista)
Richard Mosse, “Love is the Drug”, 2012
(courtesy dell’artista e Jack Shainman Gallery | © Richard Mosse)
Paolo Ventura, “The Vanishing Man”, dalla serie “Short Stories”, 2013 
(© Paolo Ventura / Weinstein Hammons Gallery)
Zanele Muholi Bester, “I, Mayotte”, dalla serie “Somnyama Ngonyama”, 2015
(courtesy: Stevenson Amsterdam / CapeTown / Johannesburg | © Zanele Muholi)
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