Parole di ceramica: Giorgia Pallaoro

Il primo oggetto in ceramica che sia stato veramente mio è una tazzina da caffè. Me l’ha messa tra le mani, dopo una cena estiva in terrazza, un’amica di amici dal viso gentile che mi ospitava quella sera. Più che lei, conoscevo bene le sue illustrazioni, che non solo avrei voluto appendere un po’ ovunque nella mia stanza per combattere in città la nostalgia da terre alte, ma di cui avevo scritto un articolo anche qui. Io e Giorgia Pallaoro ci siamo conosciute veramente quella sera lì, e proprio in quelle ore condivise assieme ho capito perché il mondo virtuale non mi basterà mai.

Quando ho deciso di scoprirne di più sulla ceramica, sapevo che non potevo non tornare a lei, a quella tazzina, a quella terrazza, a quella dolcezza che mi aveva spiazzata, alla semplicità con cui illustra pezzi di mondo e vite che chiunque vorrebbe vivere.
Giorgia non lo fa solo su carta, ma anche sulla ceramica a cui dà forma, perciò era la persona perfetta a cui fare qualche domanda per aggiungere nuovi tasselli e punti di vista su quest’arte. E poi sono convinta che un po’ di questa mia curiosità me l’abbia messa addosso proprio lei quel giorno.

Questa credo sia la domanda fotocopia che proporrò a tutti, dunque tocca anche a te — come è nata la tua storia con la ceramica?

Avendo fatto l’istituto d’arte, il primo approccio è stato ovviamente lì. Era una materia che mi piaceva, anche se poi l’ho abbandonata per il percorso che ho poi intrapreso con l’illustrazione. 
La vera passione per la ceramica è nata circa 6 anni fa, quando ho cominciato a sentire il bisogno di mettere su tre dimensioni quello che facevo come illustratrice. Avendo studiato design, sono sempre stata affascinata dalle cose tridimensionali. Perciò da quel momento ho cominciato a creare i primi manufatti in ceramica con i soggetti che mi piaceva disegnare.
C’è un ricordo in particolare che mi torna in mente: lavoravo in un negozio di belle arti, un colorificio ad essere precisi, e lì c’erano artisti che portavano i loro manufatti per cuocerli; è scattata in me in quel contesto una curiosità per questo materiale, che già conoscevo ma che non avevo mai approfondito. Anche quell’esperienza ha contribuito.

Ti ricordi il primo oggetto che hai creato in ceramica?

Credo fosse una spilla a forma di limone. 
Era un periodo in cui mi piaceva molto disegnare limoni, non ricordo il motivo, ma l’ho disegnata e ne ho realizzato questa spilla per me. Ne avevo fatta una serie e erano enormi, oggetti che ora non venderei affatto. A mia discolpa però bisogna dire che all’inizio fare le cose più grandi, soprattutto nel caso della bigiotteria o con molti dettagli, finché non hai dimestichezza, è una buona regola.

E quello invece a cui sei più legata fino ad ora?

Collaboro da qualche tempo con un negozio che ha base sia a Trento che a Verona, Details Design Store, e lì vendo i miei orecchini a cui ho dato il nome di addobbalobi, perché trovo molto carina questa idea dell’addobbare la testa. Sono parecchio grata a Roberta, la titolare: è stata la prima a notare i miei lavori.

C’è mai stato un momento in cui, lavorando le argille per realizzare oggetti in ceramica, hai pensato che forse non era un’attività per te?

C’è stato quando ho comprato il tornio, perché è uno strumento abbastanza difficile da utilizzare. Ci vuole tempo e pazienza nell’usarlo, soprattutto agli inizi: butti via tantissimi pezzi, hai paura che ci siano dentro bolle, di non averlo impastato bene, e così via.
Proprio a causa di queste paure, lavorarci assieme con serenità era per me piuttosto arduo. In fondo, è la tipica insicurezza di quando inizi qualcosa di nuovo.
Per giunta, il tornio è arrivato nella mia vita proprio nel momento in cui è scoppiata la pandemia e non mi è stato possibile partecipare ad un corso, perciò mi è mancata la sicurezza di un’esperienza del genere, che ti guida nei primi passi. L’unica strada era imparare da autodidatta e così ho fatto; anche se poi 2/3 mesi fa sono stata a Bassano del Grappa al laboratorio Il pesce rosso, dove Emma, la titolare, mi ha dato qualche lezione per lavorare meglio con il tornio. 
È stato un momento di sconforto che è durato molto poco, perché lavorare le argille per realizzare oggetti in ceramica è una cosa che mi piace veramente tanto fare. Certo, le paure, come quelle che descrivevo prima, ci sono sempre, ma la ceramica è così, fa un po’ quello che vuole, non è domabile, come la vita.

Cosa rappresenta per te il momento della giornata in cui ti dedichi alla ceramica?

È il mio momento per staccare, per fare qualcosa di più mio, per esprimere me stessa e per sperimentare. Delle volte mi capita di disegnare delle forme nuove, oppure di riportare sulla ceramica cose che della vita quotidiana che mi colpiscono, come questa ragazza che ho incrociato qualche tempo fa, intenta a mangiare un gelato su una Panda rossa. 
Nella ceramica sento di poter mettere tutta me stessa. Se nel lavoro come illustratrice devo mediare con i clienti, come è giusto che sia, nella ceramica invece ci sono le mie idee senza alcun tipo di intervento esterno.

Quale lezione importante ti ha regalato, secondo te, quest’arte?

Mi ha insegnato ad accettare il cambiamento.
Per esempio, hai un impasto che da crudo è grigio, poi lo cuoci in prima cottura, fai il biscotto e diventa rosa. Tu allora pensi di avere questo bellissimo rosa, ma dopo averlo messo in cottura a 1200 gradi indovina di che colore diventa? Color sughero.
Non sono una persona rigida, ma mi piace che le cose vengano in un certo modo. Grazie alla ceramica ho capito che è giusto che delle volte le cose invece cambino, che bisogna lasciarle andare e prenderle così come sono.

Come funziona quando non devi solo creare qualcosa in ceramica, ma ci devi anche illustrare sopra?

La ceramica per me è puramente un mezzo per trasferire le mie illustrazioni, per raccontare delle storie. Per dirla in maniera ancora più semplice, invece di disegnare su un foglio, disegno sulla ceramica. Il vaso viene come viene, io ci disegno sopra e racconto una storia.
Per quanto riguarda il processo, i passi da seguire per me sono questi: prima di tutto è necessario farsi un bozzetto di cosa si vuole disegnare, con la dimensione della superficie del vaso. Quando sono soddisfatta, lo trasferisco con la matita sul vaso crudo e dipingo l’illustrazione con gli engobbi; a quel punto il pezzo va cotto a circa 980 gradi per realizzare il biscotto, che viene smaltato con la cristallina trasparente e poi passato a una seconda cottura, sempre alla stessa temperatura, se come me, si usano terraglie bianche.

Che differenza senti tra l’illustrazione su carta e quella su ceramica?

Potrebbe essere una mia impressione, ma quella su ceramica mi sembra più viva, con una forza d’impatto maggiore.

A proposito di terraglie invece, c’è un materiale che, se potessi useresti, sempre?

Mi piace molto l’argilla bianca, che è però molto capricciosa. È bella, ma altrettanto fragile, e allo stesso tempo le illustrazioni vengono molto bene su di essa. Dall’altra parte, il grès è molto comodo da lavorare, anche al tornio, però l’illustrazione non viene bene come con l’argilla bianca.
L’ideale sarebbe una materia non ancora inventata — almeno che io sappia — che per le illustrazioni dà lo stesso risultato che si ottiene con l’argilla bianca, ma con la consistenza del grès.

Ci sono ispirazioni particolari nel tuo lavoro?

Sicuramente i vasi greci mi ispirano molto, perché sulle loro superfici si trovano sempre narrazioni, come piace fare a me sulle mie creazioni.

Ti lascio con un’ultima domanda — se potessi sognare, cosa ti piacerebbe realizzare in futuro?

Mi piacerebbe moltissimo collaborare con designer di interni per realizzare insieme piastrelle per cucine e bagni. Tutte illustrate, ovviamente.

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