Alla scoperta dei volti delle librerie indipendenti: prima tappa, Quivirgola, a Schio

Una cosa che mi rattrista un po’ è che io della prima volta non ricordo l’anno, o l’età che potessi avere, o cosa indossassi, o se prima di entrare ci fosse il sole o la pioggia. Ricordo che il nome in cima all’entrata non era simile o uguale a quelli che incrociavo nella mia città o in altre in cui mi capitava di passare, parlo di quel genere di nomi che poi finivano anche scritti sulle copertine dei libri perchè erano appunto importanti, noti. Ricordo che ero a Cortina e che ad un certo punto di quella giornata, qualcuno decise di portarmi dentro la mia prima libreria indipendente, non sapendo che da quel posto lì ne sarei uscita con una nuova dipendenza.

Non chiedetemi di descrivervi cosa sia una libreria indipendente. Ne verrebbe fuori, come mio solito, un susseguirsi di parole fortemente condizionato dalla mia passione per questi luoghi. E a dire il vero, mi sentirei in colpa a darne una sola descrizione, perché sono piuttosto convinta che ogni libreria sia un po’ come noi esseri umani — non ce n’è una uguale all’altra, ognuna ha la sua storia, i suoi scaffali, il suo ordine, i suoi colori e le sue persone che la curano come certi tesori meritano. Proprio per queste ultime, le persone, ho sviluppato da tempo un grande senso di riconoscimento.
È gratitudine, la mia, perché ammetto di aver temuto di aver perso un po’ del mio senso d’orientamento con la perdita dell’unica persona capace di guidarmi tra scaffali, titoli, autori e copertine di ogni genere. E in quel limbo in cui mi chiedevo se il libro che avevo tra le mani fosse quello giusto per me, visi sconosciuti sono sempre riusciti a intercettare quell’insicurezza, quel silenzio sospeso e a trasformarsi in bussole in grado di farmi sentire meno sola tra quelle mensole piene di soluzioni.

Perciò ho pensato di fare un viaggio virtuale, uno di quelli che sarebbe piaciuto alla mia canuta compagna di letture, un viaggio che dedico a lei, ma soprattutto a quei visi; un viaggio fatto della mia sostanza preferita, ovvero le domande, per scoprire di più riguardo le strade che conducono le persone tra pile di libri e lettori di cui prendersi cura; ma soprattutto per chiedere loro, ancora una volta, un libro, quello del cuore, quello che sentono di voler scegliere e raccontarmi.
La prima tappa di questa mia nuova avventura, a cui sto cercando di trovare un nome, è a Schio, Vicenza, da Valentina ed Eleonora Zanrosso. Senza di loro la libreria indipendente e studio di comunicazione, Quivirgola, non ci sarebbe, ma soprattutto la sottoscritta spenderebbe molto meno tempo su Instagram ad appuntarsi titoli di libri che vorrebbe leggere.

Come ci siete finite dentro Quivirgola?

Eleonora

Semmai come Quivirgola è entrata nelle nostre vite! [ride, ndr].
È stato un percorso. Secondo me, è nata pian pianino. E in realtà non è ancora definita, nel senso che c’è sempre un cambiamento in corso, che deve per forza di cose continuare. Io e Valentina siamo socie, ma prima di tutto sorelle, e il libro è un elemento che ci ha sempre unite in qualche modo, anche se da prospettive diverse, perché gli studi e la vita professionale ci hanno portate a prendere strade differenti. Io sono molto più legata al testo, al contenuto, alle parole, mentre Valentina tiene maggiormente alla parte d’immagine, la parte proprio estetica. In ogni caso siamo da sempre due persone interessate alle storie, molto curiose e ci piace fin da piccole andare in giro per librerie. E anche la vita, con le sue deviazioni e le nostre differenze, voleva portarci, secondo me, a creare Quivirgola, perché, quando guardo al passato, capisco che ogni esperienza vissuta mi ha insegnato qualcosa che sto mettendo in pratica adesso nel nostro progetto.

Nel 2016 circa, Valentina stava finendo un percorso all’Accademia di Belle Arti a Venezia e abbiamo iniziato a ragionare nel creare qualcosa che ci assomigliasse di più. In particolare, cercavamo un luogo, uno spazio. Sapevamo che dovevano esserci libri, questo sì, e che avremmo voluto raccontare storie per altri attraverso uno studio di comunicazione, unendo così i nostri due mondi. Sappiamo che è una roba stranissima, magari esiste già, ma non di certo a Schio, dove ci troviamo. Soprattutto non esisteva nella testa della nostra commercialista [ride, ndr].

Ovviamente nel tempo abbiamo scartato molte idee, siamo andate a tentativi. È stato un lavoro veramente di grande riflessione e analisi, sia del territorio, ma anche dei nostri desideri, di ciò che sentivamo di voler fare. E così nel settembre del 2017 abbiamo dato vita a Quivirgola.
Da quel giorno la formula che adottiamo è sempre la stessa, ma in realtà è cambiata tantissimo. Magari una persona che ha frequentato Quivirgola dall’inizio vede certamente un filo conduttore, da dentro invece noi siamo cambiate molto, così come anche il mondo in questi anni è cambiato tanto. È interessante, secondo me, perché le librerie necessariamente devono stare al passo con i cambiamenti, che possono essere “macro” ma anche “micro”, intesi questi ultimi come quelli della quotidianità, del quartiere, della strada, della via, della città che abiti, delle persone che entrano, perché anche quelle variano. È come se le librerie, o comunque spazi indipendenti di questo genere, fossero un po’ come delle orecchie in ascolto continuo e dunque debbano in qualche modo modellarsi e rimodellarsi continuamente per rispondere ad un’esigenza. Perciò chissà cosa potrà diventare Quivirgola, sicuramente qui c’è sempre un gran fermento.

Valentina

Come diceva Eleonora, io stavo per finire l’Accademia di Belle Arti e tra l’altro la tesi per la magistrale in progettazione grafica e comunicazione visiva l’ho scritta proprio sul progetto Quivirgola. Anche la città dove studiavo, ovvero Venezia, ha avuto un ruolo importante nella nostra storia, perché è dove mi sono imbattuta nella libreria indipendente Marco Polo. Ero entrata per comprare un regalo e ricordo la scena con questi librai, come mi ero sentita a mio agio all’interno, era stata un’esperienza bellissima. Subito dopo ho chiamato Ele, dicendole che dovevamo farlo anche noi, dovevamo riuscire ad aprire il nostro spazio. Da lì poi si è aggiunta l’idea di inserire anche uno studio di comunicazione.

La libraia tra noi è Eleonora, io mi occupo di progetti dietro le quinte. Diciamo che io mi improvviso libraia, nonostante ami i libri, ma non è il mio. In fondo ognuno ha il suo talento.

Ve la ricordate la prima libreria dove avete messo piede?

Eleonora

Da piccola ricordo che qui nella nostra città andavo spesso in una libreria indipendente che assomiglia alle librerie di catena: molto grande e con una selezione di libri piuttosto classica. Ecco, quella è stata la libreria della mia infanzia. Poi negli anni dell’università di librerie indipendenti ne ho frequentate diverse.

Valentina

Sicuramente da piccole avremo visitato delle librerie indipendenti, ma non ho ricordi nitidi; ne ho di più durante gli anni dell’università, dove ho cominciato a capire meglio cosa fosse una libreria indipendente e ad approfondire l’ambito.
Ricordo sicuramente che qui a Schio c’era anche una Rizzoli, che da bambina adoravo perché al centro della stanza c’era una vetrata sotto la quale vedevi scorrere un fiumiciattolo che passa tutt’oggi per la città, anche se al posto della libreria ora c’è un’attività diversa.

Eleonora

Quando andiamo in giro, all’estero e non, a noi interessa molto girare per le librerie del posto.
Per noi infatti era importante portare le nostre esperienze di libreria, come l’avevamo vissuta noi, nella nostra città, una città di provincia di circa 40.000 abitanti a ridosso delle montagne. Ci tenevamo soprattutto a raggiungere anche i più piccoli: ad esempio oggi che la scuola è finita, la mattina girano tantissimi adolescenti e pensare che abbiano accesso ai libri, ad una selezione diversa dal solito, a noi fa molto piacere. Perché si vede che sono curiosi e a noi piace metterci nei loro panni: se fossi stata una sedicenne e avessi incontrato un posto del genere vicino a casa, sarebbe stato molto bello e interessante.

Valentina

Per giunta quando abbiamo deciso di aprire, eravamo svincolate da Schio. Nel senso che per noi è stata una scelta quella di tornare a casa e provare a creare qualcosa qui dove siamo cresciute. Non aveva senso provare altrove. Difatti il nome — Quivirgola — lo abbiamo scelto anche per il luogo.

A proposito del nome, mi raccontate la sua storia? Notavo che poi può essere scritto in due modi: o usando una virgola vera e propria alla fine della parola Qui, o invece riportandola a lettere.

Eleonora

La realtà è che il nome è nato veramente quasi a caso. O meglio, ci sono stati degli elementi che hanno portato ad una sorta di illuminazione. Erano mesi che eravamo lì a pensare, in piena fase brainstorming, chiedendoci cosa volevamo che fosse per le persone, per la città, perciò guardavamo al macro sistema, ecco. Prendevamo appunti dappertutto, ci incontravamo in pausa pranzo ritrovandoci a scrivere idee sui tovaglioli. Poi un giorno di agosto eravamo in vacanza vicino ad un lago e ero in una fase in cui avrei voluto tatuarmi un’idea che avevo visto su un’immagine, che riportava la scritta qui + virgola in lingua inglese. Il tatuaggio non l’ho mai fatto, però mentre camminavamo e parlavamo quel giorno d’agosto, Valentina ad un certo punto si gira e mi dice che c’era, che aveva capito quale sarebbe stato il nome — Quivirgola.
La parte carina è che le persone ci vedono cose molto diverse dentro, quindi è diventato il nome di tutti. E come dicevi tu, si può scrivere in tanti modi.

Valentina

La virgola aiuta, e in tanti ci chiamano anche semplicemente “Qui”. Certo, noi ci teniamo parecchio alla virgola, ma liberi anche lì di leggere il nome come si vuole.

Eleonora

Il nome comunque rimane molto rappresentativo di quello che per noi è il nostro manifesto.

Per me il “qui” è un sogno. Sono una persona che pensa tantissimo e molto spesso sono un po’ in avanti con i pensieri. Mai troppo indietro, non sono una che rimugina, però faccio fatica a rimanere qui nel presente. Quindi per me è un augurio, un intento.


La parola vera e propria — “qui” — per voi cosa significa?

Valentina

È legata ad un’idea. Per me il “qui” è un sogno. Sono una persona che pensa tantissimo e molto spesso sono un po’ in avanti con i pensieri. Mai troppo indietro, non sono una che rimugina, però faccio fatica a rimanere qui nel presente. Quindi per me è un augurio, un intento. Vederlo ogni giorno aiuta. Ovviamente di strada da fare ce n’è, si va a momenti, ci sono settimane in cui riesci ad essere più concentrata e ad apprezzare tutte le cose, altre un po’ meno.

Eleonora

Per noi la parola è stata di grande ispirazione durante la pandemia. Le prime settimane, nel 2020, per noi sono state di puro panico, perché non sapevamo cosa sarebbe successo e cosa avremmo dovuto fare. Cercavamo di guardare cosa facevano gli altri però eravamo molto confuse. Siamo state le prime nella nostra città a chiudere, perché avevamo notato subito una difficoltà, sia delle persone che venivano in libreria, sia nostra, nel sentirsi al sicuro, creando perciò un’atmosfera che è l’esatto opposto di come ci si dovrebbe sentire in un luogo come questo.
Tornare al nostro nome, perciò al qui, al presente, ci ha in qualche modo salvate, in mezzo a quella confusione. Ci siamo dette: «Okay, con questo presente cosa possiamo fare?», quello era il tempo che dovevamo abitare per guardarci intorno e capire come muoverci. Da lì per fortuna sono nate anche iniziative importantissime a livello nazionale tra librerie indipendenti, come Libri da asporto; è stata la forza dei librai e delle libraie nel stare in quel tempo lì, con le possibilità che c’erano, che non erano tantissime. E mentre alcuni grandi sistemi, come Amazon, andavano in tilt, le piccole realtà hanno gestito benissimo la cosa, perché fatte da persone, non da algoritmi o numeri. Mi sono sentita utile nel consegnare a domicilio i libri o spedirli alle persone che non riuscivamo a raggiungere.

Valentina

Ci sentivamo fortunate perché, anche nel caos, riuscivamo comunque a fare il nostro lavoro. Tantissimi ci scrivevano a distanza, e di quel periodo ricordo benissimo le dediche che ci facevano scrivere per altri.
Sono stati due mesi che sono sembrati un’eternità e, nonostante la distanza, ho avuto la sensazione che si riuscissero a creare lo stesso legami come se fossimo nel mondo fisico.

E invece la parola “libro” cosa rappresenta per voi?

Eleonora

Per me i libri sono possibilità. Perché tutte le cose importanti della mia vita sono legate alla lettura che stavo facendo in quel periodo. O spesso un libro mi ha aiutato in qualche momento a girare la prospettiva. Ci sono libri — e sono quelli che amo di più — che mi mostrano altri mondi rispetto a quello in cui vivo. Possono essere anche libri scomodi e lontani, in ogni caso però sono possibilità che posso vivere, guardare, sentire. Possono essere risolutivi, perché magari incontri il personaggio giusto capace di darti sollievo. Altre volte, invece, ti allontanano dalla tua realtà per farti vedere meglio le cose. Comunque sia, hanno a che fare con le possibilità e sono uno strumento grandissimo che abbiamo tra le mani e allo stesso tempo il più democratico. Per il modo in cui sanno essere vicini: perché ci sono tanti modi per leggere, oggi, e nessuno va demonizzato, a mio avviso; perché ci raggiungono anche tramite le biblioteche. Sono qualcosa che chiunque di noi può arrivare ad avere tra le mani. In questi due anni, inoltre, sono stati a dir poco salvifici.

Valentina

Per me sono presente. Sono degli strumenti per riuscire a stare in quel momento lì, non in altre storie o nella mia, ma in quella che sto leggendo. Mi aiutano a vivere il qui.

Un giorno è passato di qua un signore conosciuto in città come particolarmente burbero, che non frequentava la nostra libreria ma credo nemmeno altre librerie di Schio, e ha deciso di entrare. Mi ha subito “minacciato” con lo sguardo, dicendomi che lui non leggeva e che voleva che io gli facessi leggere qualcosa. Pensavo, tremando, che se sbagliavo questa…
Insomma sono arrivata allo scaffale e ho preso Benedizione di Haruf, consigliandoglielo. Dopo neanche una settimana è tornato, temevo fosse per dirmi che era stato un consiglio pessimo, invece comincia a dire che ero bravissima, perché l’avevo fatto leggere, e ne voleva un altro. Da allora il signor M. torna quasi ogni settimana o 10 giorni, entra e mi chiede di dargli un libro.


Quando vi ho scritto per sapere se potevo intrufolarmi nella vostra giornata, vi ho anche chiesto di scegliere un libro del cuore. Come è andata?

Eleonora

Io ho scelto Benedizione di Kent Haruf, edito da NN Editore.

Ricordo il giorno in cui ho acquistato questo libro. Ero a Grosseto, stavo passando una giornata da sola e il mio programma iniziale era quello di andare a vedere la tomba di Italo Calvino, che aveva scelto di passare l’ultima parte della sua vita proprio lì a Grosseto. Invece gironzolando sono finita in una libreria indipendente. Ho subito preso questo libro, ma avendone a casa un altro dell’autore ho chiesto a una delle due libraie — erano piene di energia e personalità — quale avrei potuto leggere prima e lei mi ha suggerito di cominciare da questo qui.
L’ho portato con me in spiaggia già quel giorno e da lì, da quell’esperienza anche con la libraia, si è rafforzata moltissimo la mia voglia di aprire Quivirgola.
Inoltre Ken Haruf è stato protagonista del nostro primo evento in libreria, era un reading ad alta voce su Le nostre anime di notte, uno degli eventi più emotivi e belli che ci ricordiamo, anche se avevamo aperto da forse due mesi. E poi è un libro — e un autore in generale — che ha fatto da ponte tra me e tanti altri lettori e lettrici.

Un giorno è passato di qua un signore conosciuto in città come particolarmente burbero, che non frequentava la nostra libreria ma credo nemmeno altre librerie di Schio, e ha deciso di entrare. Mi ha subito “minacciato” con lo sguardo, dicendomi che lui non leggeva e che voleva che io gli facessi leggere qualcosa. Pensavo, tremando, che se sbagliavo questa… [ride, ndr]. Insomma sono arrivata allo scaffale e ho preso Benedizione di Haruf, consigliandoglielo. Dopo neanche una settimana è tornato, temevo fosse per dirmi che era stato un consiglio pessimo, invece comincia a dire che ero bravissima, perché l’avevo fatto leggere, e ne voleva un altro. Da allora il signor M. torna quasi ogni settimana o 10 giorni, entra e mi chiede di dargli un libro.

[ndr: Eleonora aveva scelto 3 libri, dunque per conoscere il resto di questa risposta vi consiglio di chiedere direttamente a lei di raccontarveli. Ne vale la pena!]

Valentina

Io ho scelto Cappuccetto bianco di Bruno Munari. Perché volevo rimanere legata a un libro visivo, anche se questo al suo interno ha principalmente parole e bianco. Compaiono ad un certo punto gli occhioni di Cappuccetto. L’ho scelto principalmente per via di Munari, che per me è un maestro e una guida nel mio lavoro. Leggendo i suoi libri, è stato in grado di aprirmi un mondo.
Cappuccetto bianco lo trovo un libro geniale e lo collego tanto a Quivirgola e al mio lavoro qui, perché è un esercizio di immaginazione continuo. Per me è un libro illustrato, anche se non ci sono immagini, perché ti lascia lo spazio di crearle.

Se siete arrivati fin qui capirete che, per amor vostro, anche se a discapito delle risate e dei sorrisi che ci stavamo regalando con Eleonora e Valentina, non potevo proprio continuare a fare loro domande. Ed è giusto che alcune cose rimangano in sospeso, perché le risposte migliori sono convinta che arrivino meglio andando a trovarle dal vivo da Quivirgola.

Oppure, se siete distanti, potete metterle alla prova usufruendo di una bellissima iniziativa sul loro sito che si chiama Qui, inline, per ricevere un consiglio di lettura su misura sotto forma di un libro “al buio” e altro che non posso proprio svelarvi.
Posso però dirvi che sono state Eleonora e Valentina, con la nostra conversazione fatta di sorrisi e leggerezza, a svelarmi la ricetta per stare qui, ora.

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