Chairportrait: le sedie-ritratti di Federico Babina

Immaginiamo l’impossibile: un consesso di designer, alcuni tra i più grandi, vivi e morti, riuniti tutti assieme attorno a una tavolo a parlare di sedie, ciascuno seduto sulla propria, ovviamente disegnata personalmente.
Comincia Arne Jacobsen, che con piglio assai pratico, ma non senza una nota di amarezza, sentenzia: «Le persone comprano un sedia, e non gli importa chi l’ha progettata». Si sentono borbottii di assenso, immediatamente interrotti da Enzo Mari, che coglie l’assist, si getta in avanti e, sbattendo un pugno sul tavolo, sbotta in un «sfido chiunque a creare una sedia nuova!», restandosene per qualche istante ancora con la mano chiusa sul piano, studiando in silenzio le reazioni degli altri, nessuno dei quali pare aver la minima intenzione di guardarlo negli occhi.
A rompere l’imbarazzo è Hans Wegner, che con fare diplomatico se ne esce con una grande verità: «Se si potesse progettare anche solo una buona sedia nella propria vita…», e intanto disegna su un foglietto una delle oltre 500 che ha progettato nel corso della sua carriera. Al che Mies Van Der Rohe lentamente si alza. Lo sguardo verso il cielo, scandendo bene le parole, dice secco: «Una sedia è un oggetto molto difficile. Un grattacielo è quasi più facile».
«Le sedie sono architettura, i divani sono borghesi» gli fa eco subito dopo Le Corbusier, che tuttavia non può proprio fare a meno di lanciare un’occhiatina alla Barcelona Chair su cui è seduto l’esimio collega.

Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)
Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)
Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)

A stemperare l’atmosfera arriva Mendini: fissando per una frazione di secondo Mari negli occhi (sono quasi dalla parte opposta del tavolo) si aggiusta la giacca e poi, con la sua solita ironia, avverte che «la sedia è quella cosa composta da un po’ di gambe, un sedile e uno schienale. La sedia è sedia, poltrona, divano, puff, panca e sedile. La sedia è un ingombro spaziale dentro tutte le case».
De Lucchi, che gli sta accanto, sembra d’accordo. Si accarezza la barba, s’aggiusta gli occhiali sul naso e spiega che «la funzionalità di una sedia, quando nessuno vi è seduto sopra, deve essere un oggetto presente nell’ambiente e significativo nel contesto in cui è inserita».
Appena sente la parola “contesto” Eero Saarinen si risveglia dal torpore che lo stava cogliendo comodamente seduto sulla sua Tulip: «Mio padre Eliel» ricorda, «mi diceva spesso: “Progetta sempre una cosa considerandola nel suo contesto successivo più ampio: una sedia in una stanza, una stanza in una casa, una casa in un ambiente, un ambiente in una pianta urbana”».
Non fa quasi in tempo a finire la frase che Ray e Charles Eames lo incalzano: «È questione di dettagli» chiosa Ray con le mani ben allargate sul tavolo. «I dettagli non sono dettagli, i dettagli fanno il prodotto» continua Charles, l’indice alzato a due centimetri dai propri occhi.
Si sentono mugugni di consenso, finché Gerrit Rietveld, che fino a quel momento se ne era stato in silenzio a rimuginare su chissà che cosa, esclama un misterioso «Dobbiamo ricordare che anche sedersi è un verbo».

Il resto della compagnia allarga le braccia. Che altro c’è da dire? Le sedie si muovono — pesanti e leggerissime, spigolose e sinuose, silenziose e fracassone. Si fa per uscire, quando a Verner Panton, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, osservando tutte quelle sedie differenti, e poi, indugiando sulla propria, viene in mente qualcosa: «Ci si siede più comodamente su un colore che ci piace» conclude. Nessuno sente di aggiungere altro. La seduta — in tutti i sensi — è tolta.

Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)
Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)
Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)

Sedie, dunque. Croce e delizia di progettiste e progettisti, da che se ne fabbricano. Non c’è designer che non ne abbia disegnata una, o che non abbia voluto farlo. È non è solo questione di fama, di denaro, di opportunità, di committenza, di «l’ha fatta lui, la faccio anche io». È una faccenda dalle connotazioni più intime e profonde: se c’è chi dice che una sedia sia il ritratto di chi decide di acquistarla e usarla, questo è ancora più vero riguardo a chi la progetta: è un autoritratto — più di un tavolo, una forchetta, una cucina, un palazzo intero o un ponte.
Me se fossero le sedie stesse, dei volti? Ha provato a immaginario l’architetto, designer e illustratore Federico Babina nella sua nuova serie, Chairportrait, che vede come protagoniste 30 sedute ideate da alcuni dei nomi che abbiamo trovato al nostro tavolo, e tanti altri.

Accompagnata da un video in cui i ritratti si animano, la serie si può vedere qui nella sua interezza.

Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)
Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)
Federico Babina, “Chairportrait”
(fonte: federicobabina.com)
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