Redheads: i ritratti di “pel di carota” di Joel Meyerowitz

Nell’estate del 1976 il grande fotografo Joel Meyerowitz era a Cape Cod — celebre località turistica del Massachusetts sulle rive dell’Atlantico — per sperimentare col grande formato e con il colore. Quattordici anni dopo aver lasciato il suo impiego di art director nel mondo della pubblicità e aver esordito come street photographer, l’artista newyorkese era già un autore affermato e soprattutto uno dei più strenui sostenitori dell’uso del colore nella fotografia con la F maiuscola, cosa che ancora faceva storcere il naso ai puristi del classico bianco e nero, che lo consideravano come un “effetto speciale” da dilettanti.
Abituato a usare il 35 millimetri, all’epoca Meyerowitz stava tentando di andare oltre la poetica dell’istante decisivo per focalizzarsi sulla “descrizione” dei luoghi e delle cose. Pensò che per farlo avrebbe avuto bisogno di stampe più grandi rispetto a quelle cui era abituato e per questo optò per il grande formato. Durante un viaggio nello Utah incontrò per caso un anziano fotografo che stava chiudendo l’attività e acquistò tre enormi fotocamere Deardorff, di quelle in legno, tutt’altro che maneggevoli, col soffietto e il grande telo sotto al quale “nascondersi” per scattare.

Le foto realizzate in quell’occasione confluirono, tre anni più tardi, nel suo primo libro, un capolavoro intitolato Cape Light, pieno di paesaggi, mare, spiagge e cieli rosa. A Cape Cod Meyerowitz tornò spesso, realizzando, estate dopo estate, anche molti ritratti, accorgendosi solo in seguito che molte delle persone che erano passate davanti al suo obiettivo avevano i capelli rossi.
«Com’era successo?» si domandò il fotografo anni dopo. «Ho la sensazione che fosse una combinazione tra l’estate, quando esponiamo letteralmente di più di noi stessi, e il brillante azzurro del mare e del cielo di Cape Cod ad avermi attirato in maniera particolare verso le qualità sgargianti delle teste rosse. I loro capelli e l’esotica bellezza della loro pelle alla luce del sole sembravano vibrare in quel contorno blu. Loro, come noi, sono eliotropici, ma di più. Come la stessa pellicola fotografica, le teste rosse sono trasformate dalla luce del sole».

Joel Meyerowitz, “Redheads”, Damiani Editore, 2022
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “Redheads”, Damiani Editore, 2022
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “Redheads”, Damiani Editore, 2022
(courtesy: Damiani Editore)

Deciso a continuare a lavorare su quella fortunata “scoperta”, Meyerowitz pubblicò un annuncio sul quotidiano locale, il Provincetown Advocate, nel quale invitava chi aveva i capelli rossi a presentarsi da lui. L’annuncio esordiva così: “PERSONE STRAORDINARIE! Se hai la testa rossa o conosci qualcuno che ce l’ha, mi piacerebbe fare il tuo ritratto, chiama…”. Ed effettivamente chiamarono, andarono e si fecero fotografare. Non solo, quel curioso personaggio dietro all’obiettivo li invitava anche a raccontarsi, a rivelare le loro storie, che quasi sempre presentavano aspetti comuni, soprattutto per quanto riguardava i ricordi di infanzia, quando venivano apostrofati con i soliti, sgradevoli “faccia lentigginosa”, “testa di carota”, “ehi, rosso!”.
«Si potrebbe dire che erano stati battezzati dal loro fuoco e che quell’esperienza condivisa aveva formato un “legame di sangue”1 tra tutti loro» scrisse poi il fotografo nel ’91, quando pubblicò alcuni di quei ritratti, che continuò a realizzare per tutti gli anni ’80, nel libro Redheads, originariamente uscito per Rizzoli e oggi ripubblicato in una nuova edizione dalla casa editrice Damiani, che ha ampliato il volume con una serie di ritratti finora inediti.

Joel Meyerowitz

Redheads

Damiani Editore, marzo 2022
112 pagine, cartonato, inglese
Acquista

Il libro raccoglie 70 immagini, prodotte principalmente tra il 1980 e il 1986, soprattutto tra Provincetown e Cape Cod, ma ce sono anche alcune scattate a New York o in California. La più recente è del 2000, la più datata del ’74 ed è la panoramica di una spiaggia piena di persone dai capelli rossi.
Ci sono bambine e bambini, ragazze e ragazzi, giovani donne e giovani uomini. Alcuni dei soggetti hanno un nome — Julia, Caroline, David, Leslie, Polly — altri no. Si riconosce pure una giovane Joan Cusack, l’attrice (la foto è dell’86, fatta a Washington, D.C).

Tra vitiligine, occhi chiari, trecce, costumi da bagno, sorrisi, sguardi timidi e altri più sicuri di sé ciò che colpisce, nella serie di fotografie, sono le somiglianze e le differenze: di età, genere, provenienza. Ad accomunarle tutte c’è quel “legame di sangue” sancito dal portare in testa un colore che appena una piccolissima percentuale della popolazione mondiale ha il privilegio (che in certe fasi della vita può appunto essere una condanna, così come spesso lo era in alcune epoche storiche) di avere.

«Le teste rosse, si scopre, sono sia ordinarie che speciali» dice Meyerowitz, che ha lavorato a questa nuova edizione con l’aiuto di “una di loro”, Annelie McGavin, direttrice del suo archivio.
«Tutte queste fotografie» conclude l’autore, «con l’eccezione di alcune, sono state fatte su negativi 8×10 quasi quarant’anni fa. All’epoca della prima edizione la scansione non era ciò che è oggi, e il libro fu stampato direttamente dalle stampe originali. È incredibile che sia venuto così bene. Ma la scansione odierna consente uno sguardo più profondo nel negativo, portando risultati di tale chiarezza e profondità che l’esperienza di rielaborare e perfezionare tutte le immagini del libro è stata quasi come trovarsi di nuovo sotto il telo scuro, ed essere nella magia originale del momento».

Joel Meyerowitz, “Redheads”, Damiani Editore, 2022
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “Redheads”, Damiani Editore, 2022
(courtesy: Damiani Editore)
Joel Meyerowitz, “Redheads”, Damiani Editore, 2022
(courtesy: Damiani Editore)



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