Tesori d’archivio: le serigrafie di William H. Johnson

Come mai non abbiano ancora prodotto un biopic sull’artista nero William H. Johnson davvero non me lo spiego. Oltre a essere uno straordinario pittore e incisore, infatti, Johnson visse una vita degna di un romanzo, tra povertà, talento innato, pregiudizi razziali, un grande amore finito tragicamente e la malattia mentale.

Johnson nacque nel 1901 a Florence, nella Carolina del Sud, in una famiglia molto povera. Il padre Henry lavorava come fuochista sui treni della Atlantic Coast Line Railroad, mentre la madre Alice faceva la domestica per alcune famiglie bianche della città. Primogenito di cinque figli, per via del suo aspetto inusuale — pelle relativamente chiara, capelli mossi — fin da subito il piccolo William venne bollato dalla comunità come frutto dell’unione illegittima tra Alice e uno dei suoi datori di lavoro. Le probabili origini in parte native americane della madre non bastarono, a molte persone, come spiegazione, e William crebbe quindi con la consapevolezza di essere differente, sia da coloro che, in un’America profondamente razzista, lo consideravano semplicemente nero, sia dai suoi stessi fratelli e dalle sue stesse sorelle, cui Johnson badava quando i genitori erano al lavoro, contribuendo lui stesso alle ristrette finanze familiari.
Fin da ragazzino si arrabattò con una lunga serie di lavoretti precari, come ad esempio risistemare i birilli in una sala da bowling o fare commissioni per gli ingegneri della linea ferroviaria, nel frattempo frequentando la scuola pubblica locale, riservata ad alunni e alunne nere.
Sui banchi William si innamorò dell’arte e dei fumetti, iniziando a disegnare nel poco tempo libero che aveva, imitando le vignette che trovava sui quotidiani lasciati sui treni dai passeggeri.

William H. Johnson, “Blind Singer”, serigrafia su carta, 1939/40 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Street Musicians”, serigrafia su carta, 1939/40
(fonte: Smithsonian Institution)

Crescendo, Johnson si convinse di voler fare l’artista, e lavorò duramente per mettere da parte un po’ di denaro. A 17 anni, con le sue sole forze, riuscì ad andarsene dalla Carolina del Sud: era diretto a New York, dove si iscrisse alla National Academy of Design. Qui si rivelò lo studente più promettente della sua classe e a un certo punto ebbe l’opportunità di accedere a una borsa di studio che l’avrebbe portato a studiare in Europa. Non riuscì a ottenerla, probabilmente per motivi razziali, ma uno dei suoi insegnanti, il pittore Charles Hawthorne, si rese conto che quell’enorme talento avrebbe avuto bisogno di un totale cambiamento di scenario, e decise così di finanziare lui il suo viaggio oltreoceano. Gli diede 1000 dollari (oggi sarebbero quasi 16mila), e nel ’26 Johnson si imbarcò per il Vecchio Continente.
Per circa due anni rimase in Francia, girando tra Parigi, la Costa Azzurra, i Pirenei e la Corsica, studiando soprattutto i post-impressionisti, che influenzarono notevolmente i suoi lavori dell’epoca. Qui conobbe anche Holcha Krake, un’artista tessile danese più grande di lui di sedici anni, della quale si innamorò.

William H. Johnson, “Deep South”, serigrafia su carta, 1940/41 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)

Nel ’29 tornò a negli Stati Uniti, prima a New York e poi nella sua Florence, dove venne accolto quasi come un eroe dalla famiglia e dalla comunità nera. Rimase per circa un mese, organizzando un paio di mostre e dipingendo ritratti — ecco suo fratello Jim — e paesaggi — come l’hotel Jacobia, rappresentato in stile impressionista. Proprio a causa di quest’ultimo dipinto, dedicato a quello che era stato un albergo ed era diventato un bordello, Johnson rischiò l’arresto.

Nel 1930 l’artista partì di nuovo per l’Europa, stavolta per sposare Holcha, e insieme si trasferirono in Danimarca, dove Johnson produsse una gran quantità di opere, tra ritratti e paesaggi, cimentandosi anche con una tecnica di stampa come la xilografia, incidendo pezzi di legno recuperato e frammenti di linoleum.
Lui e la moglie viaggiavano spesso, godendo di una relativa tranquillità in un’Europa ancora ben più tollerante degli Stati Uniti nei confronti di una coppia mista come la loro. Con l’ascesa del nazismo, tuttavia, la situazione cominciò a cambiare. Ne ebbero la triste dimostrazione quando Christoph Voll, anche lui artista nonché cognato di William (aveva sposato la sorella di Holcha), venne licenziato dal suo lavoro di insegnante in Germania, e gli venne affibbiata la famigerata etichetta di “artista degenerato”. Nel ’38, quando i venti di guerra cominciavano ormai a soffiare, dopo otto anni tutto sommato felici Johnson e Holcha presero la decisione di lasciare l’Europa e attraversare l’oceano.

Giunto di nuovo negli Stati Uniti, Johnson abbandonò definitivamente lo stile espressionista per abbracciare un modernismo contaminato dall’arte folk. A New York trovò lavoro come insegnate all’Harlem Community Art Center e produsse moltissimo, focalizzando spesso la sua attenzione sulla questione dell’identità razziale e misurandosi anche con la serigrafia, che interpretò a modo suo: invece di tirare ogni stampa in un certo numero di esemplari, come faceva e fa ancora la maggior parte di coloro che praticano questa tecnica, Johnson cambiava leggermente l’immagine da un esemplare all’altro.

William H. Johnson, “Going to Church”, serigrafia su carta, 1940/41 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)

Tra i suoi ultimi lavori c’è una serie, Fighters for freedom, dedicata a quelle donne e a quegli uomini che hanno combattuto per la libertà, da leader della comunità nera come Nat Turner e Harriet Tubman fino a Gandhi e alla celebre ferrovia sotterranea che aiutava schiave e schiavi a scappare (su questo consiglio, a chi non l’ha ancora vista, la bella serie The Underground Railroad, tratta dall’omonimo romanzo-capolavoro di Colson Whitehead). Johnson la realizzò quando ormai la sua vita stava cominciando ad andare a rotoli. Dopo un incendio al suo atelier, dove andarono distrutti molti suoi lavori, e dopo la malattia e la morte della moglie per un cancro al seno, distrutto emotivamente e fisicamente debilitato cominciò a girare senza pace: prima tornò a Florence, poi partì nuovamente per la Danimarca. Nel ’47, mentre era in Norvegia, venne ricoverato per un crollo mentale e gli venne diagnosticata la sifilide. Rimpatriato negli Stati Uniti, fu internato in un ospedale psichiatrico, dove passò oltre due decenni, fino alla morte, giunta nel 1970. Nel frattempo le sue opere — oltre 1000 pezzi, tra dipinti a olio e a tempera, acquerelli, schizzi, disegni e stampe — per anni accatastate in un deposito, rischiarono di andare perdute, ma alla fine vennero acquisite dalla Harmon Foundation, un ente filantropico privato, e infine donate allo Smithsonian American Art Museum, dove sono tuttora conservate.

Proprio grazie al museo il grande valore artistico di Johnson è stato riconosciuto e riscoperto.
Nella pagina a lui dedicata sul sito dello Smithsonian si possono vedere tutti quanti i suoi lavori.
Quelle che presentiamo qui sono alcune delle sue splendide e coloratissime serigrafie, stampate tra il 1939 e il 1945 e raccolte, insieme ad altre stampe, su un album Flickr curato dallo stesso museo e intitolato William H. Johnson’s World on Paper.

William H. Johnson, “Breakdown”, serigrafia su carta, 1940/41 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Fright”, serigrafia su cartoncino, 1942
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Jitterbugs (II)”, serigrafia su quotidiano, 1941 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Jitterbugs (III)”, serigrafia su carta, 1941 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Jitterbugs (V)”, serigrafia su carta, 1941/42 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Off to War”, serigrafia su carta, 1942
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Ezekiel Saw the Wheel”, serigrafia su carta, 1944/45 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)
William H. Johnson, “Three Friends”, serigrafia su carta, 1944/45 ca.
(fonte: Smithsonian Institution)
Un messaggio

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