Ci sono due pronomi personali che girano per le strade delle nostre città, stanno in fila al supermercato, escono dal panettiere, salgono e scendono dagli autobus, dai tram e dai vagoni della metro, per finire poi la giornata su qualche social o tra i commenti astiosi e ostili sotto all’ennesima notizia di cronaca raccontata in modo tale da scaldare appositamente gli animi.
Questi due pronomi sono il noi e il loro, e vivono l’uno in antitesi all’altro perché così hanno arbitrariamente deciso coloro che si considerano parte dei noi.
Si incontrano ovunque, ma i noi fanno finta di non vedere — dato che non hanno il minimo desiderio di conoscere, per non rischiare di mandare in cortocircuito il cervello casomai scoprissero che quella parola lì, noi, in realtà può abbracciare tutte, tutti e tutto quanto. Se poi la situazione li costringe al faccia a faccia, i noi tirano fuori un altro pronome, e i loro diventano voi.
Chi siano i noi e chi i loro/voi è facile immaginarlo. Sono molte e sono molti coloro che, prima o poi, hanno rappresentato un voi per qualcun altro: perché fuorisede, perché meridionali, perché non conformi ai canoni, perché gay o trans. Ma c’è chi è più voi di chiunque altro, ed è chi ha la pelle di un altro colore, un nome “strano”, una religione diversa, un sangue nel quale ai noi sembra di sentire i minacciosi echi di lingue e culture altre.
C’è tuttavia chi vive sul confine dell’uno e dell’altro pronome. È un gruppo di persone che, anche legalmente, è situato in un limbo burocratico, quello di chi è nata o è nato in Italia da genitori arrivati da fuori (ma non tutti i fuori sono uguali, questo è noto), o che qui ha frequentato le scuole, ha stretto amicizie, fatto sport, giocato, amato, pianto insieme alle loro coetanee e ai loro coetanei figlie e figli dei noi. Sono tutte quelle ragazze e quei ragazzi che fino ai 18 anni non hanno diritto di cittadinanza, e solo dopo possono richiederla. Ebbene sì, richiederla.
Proprio loro sono i protagonisti e le protagoniste di This is us, un progetto di Maria Di Stefano, artista italiana che vive e lavora a Roma, dopo una laurea in storia dell’arte alla Sorbona di Parigi, un master in Fine Art presso la University for the Creative Arts di Canterbury, nel Regno Unito, e un’esperienza negli Stati Uniti prima in qualità di assistente fotografa di Richard Kern e poi come artista in residenza presso il laboratorio d’arte ESMoA, a Los Angeles.

Perfettamente a suo agio sia con il linguaggio della fotografia che con quello della videoarte e delle riprese documentaristiche, Di Stefano ha scelto di raccontare con This is us trenta tra coloro che in questo limbo burocratico — e nella zona grigia tra il noi e il voi — vivono quotidianamente. E l’ha fatto attraverso dei ritratti fotografici, installati lo scorso settembre sulle bacheche pubblicitarie per le strade di Roma, dove vivono anche le ragazze e i ragazzi che appaiono nelle foto.
«Un gesto espositivo che al messaggio pubblicitario sostituisce un altrettanto contemporaneo emblema della nostra società» riporta il comunicato stampa del progetto, «riattivando esteticamente questi luoghi disseminati per la città. Il manifesto diviene uno statement e si trasforma in una nuova dimensione di incontro e di relazione, con l’altro, con un’altra faccia della città, persino con noi stessi, che siamo attori dello sguardo e oggetto di quello dei e delle ragazze fotografate».
Il percorso espositivo segue la linea del tram 19 (qui la mappa), da Centocelle a Prati, e rimarrà in mostra fino al 20 dicembre, quando This is us arriverà all’ultimissima tappa, cioè la presentazione di una fanzine, intitolata anch’essa This is us, che mostra e racconta i luoghi visitati da Di Stefano e gli incontri fatti per il progetto.
Tra il libro d’arte e il diario, il volume — stampato in un’edizione limitata di 300 copie — presenta anche un testo di Veronica He, curatrice dell’intero progetto, ed è stato realizzato con la collaborazione di Achille Filipponi (vecchia conoscenza di Frizzifrizzi: artista, editore, co-fondatore di Yard Press e dello studio multidisciplinare Nationhood, del quale è pure direttore creativo), che si è occupato dell’editing, e dello Studio Co-Co, che ha lavorato al progetto grafico.
La presentazione si terrà presso Leporello, libreria indipendente specializzata nell’editoria fotografica, in via del Pigneto 162/e a Roma. L’appuntamento è per le 19,00, con un dialogo tra l’artista, Maria Di Stefano, e il designer Donato Loforese dello Studio Co-Co.





Maria Di Stefano, “Illias e Naim / Moschea di Roma”, 2021















