La storia delle locandine cinematografiche è viaggiata parallela a quella della cosiddetta settima arte fin dai suoi primordi. Anzi, in realtà le locandine sono nate ancora prima, da quando i cartelloni illustrati e stampati in litografia venivano usati per pubblicizzare gli straordinari (per l’epoca) spettacoli in cui venivano mostrate le tecnologie pre-cinema: lanterne magiche, taumatropi, fenachistoscopi, zootropi e tutti i congegni dai nomi che somigliano alla nomenclatura scientifica di esotiche specie animali o vegetali.
Quello che viene considerato come il primo poster cinematografico vero e proprio risale invece al 1895 (o 1896) e venne realizzato dal pittore e affichiste francese Marcellin Auzolle per un film dei “padri” del cinema — i fratelli Lumière —, intitolato L’arroseur arrosé (cioè “L’innaffiatore innaffiato”), che fu anche il primo esempio di opera cinematografica di finzione.
Nella locandina di Auzolle non appare il titolo e si vede un pubblico intento a guardare uno dei fotogrammi dell’opera.
Da Auzolle e i Lumière prende il via anche Cinema Manifesto, tesi di laurea realizzata l’anno scorso dal giovane designer Giacomo Dal Prà (sotto la supervisione di Jonathan Pierini), uscito dall’ISIA di Urbino con un diploma in Comunicazione e design per l’editoria.
Vicentino, da sempre appassionato di arti visive, Dal Prà ha dapprima studiato Nuove tecnologie per l’arte all’Accademia di Belle Arti di Venezia e poi è arrivato all’ISIA, dove ha anche preso parte a un bel progetto, The book that exploded, di cui scrissi qualche anno fa.
«All’ISIA è stato uno spasso» racconta. «Ho conosciuto persone fantastiche e imparato nuove cose dal primo all’ultimo giorno. Abbiamo progettato libri, allestito mostre, progettato libri… distrutto libri (come ben sai!)».
L’idea di realizzare una tesi sulle locandine cinematografiche è arrivata piuttosto naturalmente, essendo la progettazione grafica e il cinema due discipline molto care a Dal Prà.
«In verità, in principio la mia intenzione era quella di analizzare solamente la tipografia legata ai film, quindi i titoli di testa e di coda», precisa. «Ma dopo varie “cantonate” qua e là, ho capito che era più complicato del previsto, e ho voluto affrontare l’intero campo dei manifesti cinematografici, in particolar modo dal 1960 al 1980. Dico “in particolar modo” perché era impossibile non prendere in considerazione almeno un periodo storico preciso. Devo dire, però, che non ho voluto tralasciare nulla: la mia tesi è di fatto un viaggio nella storia del manifesto del cinema, dalle sue origini fino agli anni ’80 del ‘900».
Cinema Manifesto va dunque a raccontare un secolo di storia dei poster cinematografici, focalizzandosi soprattutto sul quel ricchissimo ventennio che — tra nouvelle vague, New Hollywood, Cinema Novo e l’esplosione dei film di genere — è stato probabilmente uno dei pericoli più fecondi per il grande schermo (qualche titolo giusto per dare l’idea: Il padrino e Apocalypse Now di Coppola; Taxi Driver e Toro scatenato di Scorsese; Il cacciatore di Cimino; Lolita, Il dottor Stranamore, 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica e Shining di Kubrick; Qualcuno volò sul nido del cuculo di Forman; Una moglie di Cassavetes; Kes di Ken Loach; Il dottor Živago di Lean; Brian di Nazareth dei Monty Python; Animal House e The Blues Brothers di Landis; Rocky di Avildsen e Rocky II di Stallone; Star Wars di George Lucas; Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg; Alien di Ridley Scott; Solaris e Stalker di Tarkovskij; Eraserhead e The Elephant Man di Lynch; Psyco, Gli uccelli, Marnie, Il sipario strappato, Topaz, Frenzy e Complotto di famiglia di Hitchcock; L’appartamento, di Wilder; diversi 007; Il mucchio selvaggio di Peckinpah; Il buono, il brutto, il cattivo e C’era una volta il West di Sergio Leone; La dolce vita, 8½ e Amarcord di Fellini; La notte, Il deserto rosso, Blow-Up e Zabriskie Point di Antonioni; Rocco e i suoi fratelli e Il gattopardo di Visconti; Novecento di Bertolucci; tutto Pasolini; Il sorpasso di Risi; L’albero degli zoccoli di Olmi; C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare di Scola; I pugni in tasca di Bellocchio; Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Petri; Il caso Mattei di Rosi; Fantozzi di Salce; Fino all’ultimo respiro di Godard; quasi tutto Truffaut; Cleo dalle 5 alle 7 di Agnès Varda; Alice nelle città di Wenders; Anche i nani hanno cominciato da piccoli di Herzog; La notte dei morti viventi di Romero; L’esorcista di Friedkin; Non aprite quella porta di Hooper; L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, 4 mosche di velluto grigio, Profondo rosso e Suspiria di Dario Argento…).
«Una parte fondamentale di questa tesi si basa sulla ricerca e sulla catalogazione dei manifesti» dice Dal Prà. «Dopo aver scelto il periodo, ho cominciato a catalogare, tramite un foglio Google, tutti i manifesti dei film che mi interessavano. Il risultato è un’archiviazione di quasi 200 film, con rispettive informazioni su film e manifesto corrispondente, e il bello è che per ogni film ho trovato dai due ai dieci manifesti alternativi (seconde versioni, poster mai usciti, versioni straniere…). La cartella Manifesti della tesi ha più di 600 immagini. Per esempio, solo per Guerre stellari: Episodio IV – Una nuova speranza ho trovato quasi 20 poster».
Quella stessa cartella è poi diventata la struttura stessa del libro Cinema Manifesto: ciascuna sottocartella a fungere da capitolo: «ho diviso i manifesti per paese di produzione (Hollywood, Francia, Italia…), per genere cinematografico (commedia, fantascienza, thriller, ecc.), per autore (Saul Bass, Bill Gold…) e per stili nazionali (Polonia, Giappone…). In più ho recuperato e collezionato più di 50 logotipi dei più bei film del periodo (e qui devo ringraziare Frizzifrizzi per l’articolo su Type / Film)».
Per finire, il giovane designer ha realizzato un manifesto — o meglio, un “manifesto di manifesti” — che raggruppa tutti i film catalogati: «nel libro, ogni manifesto di film che appartiene al ventennio ’60-’80 è numerato, e non ha una didascalia (a differenza di quelli degli anni precedenti). Tutti questi numerini si ricongiungono alla catalogazione nelle pagine finali del libro, che fa anche da indice dei contenuti. Il poster nasce anche per questo motivo, oltre che per un puro sfizio formale» spiega Dal Prà, che ha anche creato un profilo Instagram in cui ha caricato i poster contenuti all’interno del libro.