Fotografia e suono si intrecciano nei tappeti tessuti dal designer Marco Loi con la tecnica tradizionale sarda “a pibiones”

A pochi chilometri dal centro esatto della Sardegna, nella cosiddetta Barbagia del Mandrolisai, c’è un piccolo borgo storico di quasi 3000 abitanti considerato come la capitale dell’artigianato tessile sardo. Si chiama Samugheo, sorge nella parte più orientale della provincia di Oristano ed è qui che la tecnica di tessitura tradizionale detta a pibiones — che significa “acini d’uva” — ha raggiunto il suo apice.
Inizialmente riservata ai corredi matrimoniali più ricchi, la tessitura a pibiones consiste nel creare disegni decorativi sulla trama attraverso dei rilievi che assomigliano appunto agli acini dell’uva, ottenuti con un ulteriore e più spesso filo di trama (il tramone), che viene alzato e attorcigliato a mano attorno a un ferro (agu) e poi fermato in quella posizione. Più è spesso l’agu, più grandi sono i pibiones.

Diffusa nella maggior parte dell’isola da oltre due secoli, questa tecnica veniva tramandata di madre in figlia e in ciascuna famiglia gli schemi di tessitura passavano di generazione in generazione. A partire dalla fine degli anni ’50, grazie al progetto dell’Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigianale (acronimo I.S.O.L.A.), venne avviato un capillare e ambizioso programma di corsi professionali al fine di potenziare e perfezionare le produzione artigianale sarda. Fu allora che Samugheo diventò il principale centro tessile dell’intera Sardegna, riempiendosi di piccole imprese specializzate. Dal 2002 lì sorge anche il MURATS, Museo Unico Regionale Arte Tessile Sarda.

Originario di Samugheo, il giovane designer Marco Loi, non poteva dunque che avvicinarsi alle arti tessili, utilizzandole però non in funzione del manufatto in sé e per sé, ma per esplorare alcune tematiche socio-politiche e geopolitiche a lui care, soprattutto quelle legate ai concetti di limite e di confine, in un tentativo di afferrare l’impenetrabile e l’invisibile e di mettere in discussione e spostare i margini.

Marco Loi, “40°02’48.5”N 8°38’38.8”E 03.05.2021
12:49:29 – 12:49:34”, fotografia digitale, tessitura manuale “pibiones”
(courtesy: Marco Loi)
Marco Loi, “40°02’48.5”N 8°38’38.8”E 03.05.2021
12:49:29 – 12:49:34”, fotografia digitale, tessitura manuale “pibiones”
(courtesy: Marco Loi)
Marco Loi, “40°02’48.5”N 8°38’38.8”E 03.05.2021
12:49:29 – 12:49:34”, fotografia digitale, tessitura manuale “pibiones”
(courtesy: Marco Loi)

Classe 1997, Loi si è laureato nel 2020 in Progettazione grafica e Comunicazione Visiva presso l’ISIA di Urbino, dove per tre anni ha lavorato a diversi progetti relativi al suo territorio d’origine.
«Ho cercato di indagare gli aspetti antropologici e socio-comportamentali di questa terra, il fragile equilibrio tra uomo e natura, l’idea affascinante di abitare un luogo magico, isolato e circondato totalmente dal mare. Questa componente territoriale ha sicuramente condizionato e contaminato continuamente la mia ricerca, motivo per cui le microstorie della mia terra natale sono state spesso fonte di ricerche visive» racconta Loi, che è uscito dal corso triennale con una tesi dal titolo Il rumore di una terra invisibile, che descrive come «un’indagine sul paesaggio invisibile delle basi militari della Sardegna, la censura e lo spazio eterotopico inaccessibile».

Grazie ai suoi lavori, Loi si è aggiudicato premi, selezioni e residenze: nel 2020 è stato finalista nel progetto internazionale Blurring the lines; lo stesso anno è stato selezionato per la mostra Italia 90 di Condominio XYZ, a Milano; e nel 2021 ha vinto una residenza artistica di un mese a Milis, nella sua Sardegna, nell’ambito del programma di residenze nato dalla collaborazione tra nocefresca e Galleria Mancaspazio.
Proprio durante la sua permanenza a Milis, Loi si è posto l’obiettivo di usare due linguaggi apparentemente lontani — la fotografia e la tessitura — per cogliere l’inafferrabile.

«L’idea è che il luogo che racconto possa essere descritto tenendo conto di tutte le condizioni che lo caratterizzano nel momento in cui mi sono relazionato con esso, attraverso l’ausilio di un algoritmo progettato tenendo conto sia degli input proposti che i limiti del supporto in cui l’opera finale viene rappresentata» spiega il designer, che ha fotografato alcuni luoghi e ne ha registrato i suoni presenti nel momento in cui lui era lì.
Le immagini delle fotografie sono poi state sintetizzate a livello di forme e colori, mentre il suono — attraverso un algoritmo ideato da Loi e progettato dalla sviluppatrice Marta Fioravanti — è stato tradotto in un pattern tessile.

Marco Loi, “40°02’53.2”N 8°38’06.3”E 02.05.2021
15:14:07 – 15:14:11”, fotografia digitale, tessitura manuale “pibiones”
(courtesy: Marco Loi)
Marco Loi, “40°02’53.2”N 8°38’06.3”E 02.05.2021
15:14:07 – 15:14:11”, fotografia digitale, tessitura manuale “pibiones”
(courtesy: Marco Loi)

Tale processo si è concretizzato nella produzione di due tappeti, che Loi ha tessuto con la tecnica a pibiones grazie alle conoscenze tramandategli dalla madre.
I titoli delle due splendide opere rimandano al luogo (per mezzo delle coordinate geografiche) e al momento esatto (con l’indicazione dell’ora).
«Quello che nasce da questa ricerca» afferma Loi «è una nuova serie di tessiture nate dalla combinazione tra il linguaggio fotografico e quello tessile. L’esplorazione geografica è in questo modo traslata su un elemento fisico e tattile, il cui processo di rappresentazione tiene conto in partenza degli elementi visivi, poi amplificati e modellati dall’elemento sonoro, che nella sua non-riproducibilità, genera un racconto unico e appunto non replicabile».

Al di fuori di questo progetto, il designer ha usato la medesima tecnica di tessitura anche in un altro lavoro, stavolta però senza avvalersi di algoritmi.
Si chiama 72 ed è in effetti una mappa geografica che tratta un altro tema a lui molto caro, e cioè quello della questione di genere e della libertà sessuale.
Il tappeto mostra infatti le nazioni in cui attualmente l’omosessualità è ancora considerata un crimine (sono, appunto, 72: tante, troppe; ma anche una soltanto sarebbe una di troppo).
Nata anche’essa durante la residenza, l’opera è accompagnata dal testo che segue, e il giovane designer ha l’intenzione di continuare a tesserne nuove versioni così da mostrare l’evoluzione (o l’involuzione) della situazione (i futuri titoli, spero, saranno rappresentati da numeri sempre più bassi):

“Credo di essere libero qui.
Ma commetto un crimine
ogni volta che calpesto altre terre”.

La mappa geografica nasce da una riflessione generale sul concetto di muro e confine, suggerita dalle parole di Patrick Chamoiseau e Édouard Glissant, che offrono una definizione attenta del muro, geografico e ideologico, che si viene a creare ogni volta che un’individuo o una civiltà non sono riuscite a pensare l’altro. 
A partire da questa suggestione è stata portata avanti una ricerca che pone delle relazione tra delle problematiche geo-politiche e ancora una volta la tessitura tradizionale samughese. In questo caso il lavoro è esclusivamente geografico e topografico e offre una mappatura di tutti i 72 Paesi del mondo in cui ancora oggi l’omosessualità viene criminalizzata. 
L’atto manuale di tessere, nel suo gesto più meditativo e poetico, crea attraverso il filo dei legami; in questo caso permette all’artista di ripercorrere lentamente tutti i luoghi descritti, in un rapporto profondo che oltre a rappresentare una mappa genera ogni volta possibili personificazioni e identificazioni in ognuno di quei luoghi in cui il fatto di esistere compromette la libertà. 

Marco Loi, “72”
(courtesy: Marco Loi)
Marco Loi, “72”
(courtesy: Marco Loi)
Ispirazione
(courtesy: Marco Loi)
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