UMANALACUNA: l’inabissamento volontario di Venezia nella tesi di Giacomo Bianco

Nel suo romanzo del ’62 Deserto d’acqua1, che fa parte della cosiddetta “tetralogia degli elementi”2, lo scrittore James Ballard racconta di un pianeta Terra in cui, a causa di alcune violente tempeste solari, la barriera che ci protegge dalle radiazioni provenienti dalla nostra stella si assottiglia sempre di più, portando a un innalzamento della temperatura e allo scioglimento delle calotte polari. La zona equatoriale diventa un inabitabile inferno, la maggior parte delle città di pianura viene sommersa e si formano lagune inospitali. Con le trasformazioni climatiche e l’aumento della radioattività causato dalle radiazioni solari, le forme di vita animali e vegetali inferiori esplodono in una sorta di ritorno alle ere preistoriche. Solo all’interno dei circoli polari la vita è sopportabile ma la popolazione umana si riduce a pochi milioni di individui e figlie e figli sono una rarità.

«L’albero genealogico della vita umana» scrive Ballard «si stava sistematicamente potando da solo, spostandosi all’indietro nel tempo. Alla fine, sarebbe venuto il momento in cui un secondo Adamo e una seconda Eva si sarebbero trovati soli in un nuovo Paradiso Terrestre».

Con notevole preveggenza, in un periodo in cui si parlava ancora poco di “riscaldamento globale” e “crisi climatica”, lo scrittore britannico immaginò uno scenario che ora comincia a sembrarci inquietantemente familiare, e che sta sempre più rapidamente traslocando dai romanzi di fantascienza ai saggi di scienza.
A un certo punto, mentre descrive questo nuovo mondo, Ballard dice che «La continua decadenza della fertilità dei mammiferi e l’aumento costante delle forme di vita anfibia e dei rettili, più adatti alla vita acquatica nelle lagune e nelle paludi, aveva invertito l’equilibrio ecologico», e che «Le città erano state simili a rocche assediate, rinchiuse entro enormi dighe e sgretolate dal panico e dalla disperazione, come mille Venezie riluttanti al matrimonio col mare».

Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)

Ora, uscendo per un momento dal romanzo, proviamo a immaginare cosa succederebbe se, in questo panorama, l’essere umano riuscisse ad adattarsi e a mutare in una forma di vita anfibia.
È su questa fantasticheria — legata a una Venezia che volontariamente si inabissa — che ha lavorato il giovane fotografo Giacomo Bianco nella sua tesi di laurea UMANALACUNA.
«Tramite un rovesciamento prospettico» spiega l’autore «ho utopizzato un inabissamento volontario della città di Venezia e un unico grande mare che racchiudesse al suo interno un ecosistema di abitanti anfibi, postumani capaci, come la propria città, di vivere d’acqua e in armonia con essa».

Classe 1994, nato e cresciuto a Venezia, Bianco lavora oggi come fotografo e come assistente di Giovanna Silva, anche lei fotografa oltre che docente all’ISIA di Urbino e fondatrice della casa editrice Humboldt Books.
Con alle spalle una laurea in Industrial Design e Multimedia presso l’Università Iuav di Venezia e un master in Fotografia all’ISIA di Urbino, a soli 27 anni Bianco ha già un lungo curriculum fatto di residenze artistiche, concorsi e selezioni: secondo posto nella 103ma Collettiva Giovani Artisti della Fondazione Bevilacqua La Masa, selezione tra i Fresh Eyes Talens 2021, vittoria — insieme all’artista Micòl Grazioli — della call Trascendanza, e tra i vincitori (proprio con UMANALACUNA) della call REFOCUS #2, lanciata dal MiBACT in collaborazione con Museo di Fotografia Contemporanea e Triennale Milano.

Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)

Realizzato come tesi per il diploma di secondo livello all’ISIA, UMANALACUNA consiste in un progetto editoriale formato da tre volumi (il progetto grafico è di Giorgia Florenzano): due di essi sono prettamente fotografici, mentre il primo sviluppa la parte teorica, allacciando link con la storia, l’urbanistica, l’architettura, la letteratura, la filosofia, la geopolitica, sempre con Venezia — quella del passato, quella del presente e quella del futuro — a fare da centro assoluto.

«Questo progetto è un atto d’amore, un inno alla bellezza di questo territorio, alla storia del suo paesaggio, al suo ecosistema, ma soprattutto a quelle persone che sono state capaci di innamorarsene e comprenderlo prima di me»: questo l’incipit del primo libro, che poi prosegue con una dichiarazione — «ho provato a riattivare l’attenzione verso il rapporto simbiotico umano-territorio, utilizzando l’unico mezzo in mio possesso: la fotocamera» — e un’accusa: «Dal XIX secolo, soprattutto durante il XX, sino ad oggi, pare che questo rapporto si sia disgiunto: sembriamo esserci dimenticati di “vivere anfibio” prediligendo, altresì, l’economia della terra e della liquidità che mettono al primo posto ciò che le ingrassa. Il miracolo di conservazione per cui questo territorio ci è stato ereditato per mano e per amore dei nostri predecessori si è così eclissato, con la conseguente distruzione della morfologia lagunare. Il 4 novembre del 1966, l’Acqua Granda ha infatti suonato il primo campanello d’allarme per ricordarci che le catastrofi — anche quelle naturali — non sono mai davvero naturali. Se costruisci dove il terreno è franoso, prima o poi la casa crolla. Se interri le barene che assorbono l’acqua in entrata, prima o poi la marea ti travolge. Il futuro di Venezia fu argomento di numerosi dibattiti riguardanti il destino della Laguna, ed un anno fa, ma mezzo secolo più tardi, la storia ne ha riproposto in maniera identica le dinamiche: ha clonato le paure, le disperazioni, la rabbia e la mancata volontà di interessarsi a questo fragile habitat. Per otto centimentri, infatti, le due alluvioni sarebbero state identiche perché troppo simili sono state le “cure” e le “attenzioni particolari” adoperate in questo territorio precedentemente e durante i due eventi, con l’unica differenza che nell’ultimo caso — camuffatosi ad opere necessarie promotrici di salvaguardia — hanno alterato irreversibilmente gli assetti lagunari. Il fragile ma secolare binomio sintattico “Venezia è Laguna” ha così continuato ad essere fortemente minacciato da progetti che hanno avuto come obiettivo comune la negazione dell’acqua, con la conseguente morte della Laguna a discapito della salvezza della città».

Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)

Per quanto riguarda la parte fotografica, Bianco ha scelto di prendere due diverse direzioni: uno sguardo “da sopra” e uno “da sotto”.
Da una parte una bellissima serie di scatti che suggeriscono il nuovo “vivere anfibio” che l’autore immagina; dall’altra una serie di fotogrammi estrapolati dalle webcam subacquee della piattaforma oceanografica ACQUA ALTA del CNR.
«Ho visionato i video in tempo reale» racconta Bianco, «collezionando screenshot di pesci ed esseri viventi non umani che apparivano all’interno del campo della stessa.
Successivamente ho fatto dei video subacquei in mare con una fotocamera impermeabile a dei soggetti umani e ho postprodotto gli screenshot di questi, emulando l’estetica della webcam subacquea reale. Ho adottato questo escamotage per rafforzare l’ipotesi dell’inabissamento: immaginando la quotidianità ripesa, nel futuro, dalle webcam subacque che, oltre agli esseri viventi non umani, mostreranno con loro, anche i futuri cittadini».

L’intento di Giacomo Bianco non è quello di offrire reali soluzioni. È invece quello di «mirare al pensiero: di creare una riflessione allegorica che permetta di tornare a guardare alla Laguna con un occhio rinnovato, o più propriamente con l’occhio antico, capace di rivitalizzare la filia per l’acqua, come se ne fosse immerso. Nulla di tutto ciò ambirà alla concretezza o a dare delle soluzioni, semplicemente cercherà di superare questa lacuna mnemonica in atto guardando al “passato” per reinterpretarlo in un futuro utopico che sia in grado di intenzionare il presente».

Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
(courtesy: Giacomo Bianco)
Giacomo Bianco, “Umanalacuna”
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