Luce d’agosto: la fine di qualcosa, nelle foto del giovane Marouane Khalfadir

Una vita che non va come avresti voluto. La rabbia e il malessere. Il potere dei libri e della fotografia, in una serie fotografica sulla fine. La fine di qualcosa.

La segheria di Horton Bay ha smesso l’attività. Niente più rumore delle seghe che tagliano il legno. Niente più andirivieni di battelli sul lago. Gli ultimi hanno portato via le assi rimaste e poi i macchinari, idealmente strappando anche la vita al paesino che il mulino della segheria aveva contribuito ad animare. È in questo scenario d’abbandono che Hemingway narra la storia della fine di un amore. Il racconto, intitolato La fine di qualcosa e pubblicato nella celebre raccolta de I quarantanove racconti, si sviluppa in poco più di una manciata di pagine. Lo stile è quello asciutto caratteristico dell’autore americano. E l’atmosfera lo fa rassomigliare alle short stories di Carver, dove sembra non succedere niente e invece, appena chiuso il libro, t’investe vivida la sensazione di essere entrato in una stanza subito dopo un momento cruciale, perdendolo per un soffio — o esserne uscito subito prima —, tanto che ne hai già (o ancora) il sapore in bocca.

La fine, quando arriva, non è che avvisi sempre — «son qua, abbiate occhi solo per me, ché altro non rimane». La maggior parte delle volte giunge così lentamente, o tanto improvvisamente, che chi è ancora in piedi a raccontarla, dopo che è passata, se ne accorge solo quando si guarda indietro. Ma talvolta la senti anche quando ci sei in mezzo. Ne scorgi, con la coda dell’occhio, la lunga ombra che tutto comincia a rabbuiare. E poi, d’un tratto, ti ritrovi dentro a quella fine lenta, a galleggiare in un’aria che sembra liquida con chi, come te, ha compreso e ora s’affanna ad afferrare quel che può, ogni singola particella di luce, ogni sorriso, ogni abbraccio negli sguardi altrui, fabbricandosi future memorie che, a posteriori, daranno l’illusione d’aver potuto ritardare almeno un poco la fine della fine.

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Giunge come un’epifania, forse la più amara, la consapevolezza che quello che stai vivendo sta anche per concludersi. È allora che cominci ad assaporarne davvero la pienezza. Quella pienezza, il giovane Marouane Khalfadir riesce magicamente a catturarla nei suoi scatti. O meglio, è come se lui, che ha cominciato a fotografare da pochissimo, praticamente l’altro ieri, fosse stato designato per rappresentarla.
Dietro alla sua serie — la prima e finora l’unica, intitolata Luce d’agosto: la fine di qualcosa e a sua volta suddivisa in quattro “capitoli” — c’è una bella storia: intensa, dolce e agra allo stesso tempo. E quando Marouane (lo chiamo per nome perché lui si è presentato così) mi ha scritto per mostrarmi il suo lavoro, è riuscito a farmi tornare in un posto prezioso, mio e solo mio. Un angolino della mente in cui non entravo da anni, tanto che pensavo d’aver perduto la chiave.

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Classe 2000, cresciuto a Novara da genitori marocchini, Marouane racconta così la sua infanzia: «Sapere che una volta tornato a casa non mi aspettava il piatto di pasta ma il tajin di mamma mi ha fatto capire cosa volesse dire essere diverso e al contempo non esserlo, essere entrambi i lati della medaglia. Non andare in gita per mancanza di soldi mi ha fatto capire cosa volesse dire la differenza tra avere e non avere soldi. Non mi ha fatto capire la povertà, bensì le opportunità che ti nega».
La svolta, nella vita interiore di Marouane, arriva con un libro. All’epoca è in terza superiore, un istituto tecnico — dice — «frequentato per mancanza di ambizioni e passioni». Quel libro è 1984 di Orwell, e si rivela come il primo fiammifero che fa deflagrare un incendio. Lo racconta così: «Un libro che penso e spero abbia fatto scattare qualcosa in ogni suo lettore, nel mio caso ha dato inizio alla lettura, alla paura, alle incognite».

Prossima Fermata:

Frah Quintale canta nei treni la notte.
La malinconia mi pervade.
Le urla dei treni.
Non voglio tornare a casa.
Prossima Fermata: Novara

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Ma quello che fa ribaltare una volta per tutte le carte in tavola è On the road di Kerouac, letto durante un viaggio in Marocco. A quel punto Marouane si ritrova bloccato tra le scelte fatte in passato e quello che ormai si muove inarrestabile nella sua testa.
«In seguito a un libro del genere la mia visione è cambiata radicalmente. Ero confuso ma iniziavo a capire cosa non volevo fare, chi non volevo essere, perciò ritrovarmi con un diploma in perito aeronautico non ha fatto altro che aumentare l’amarezza. Mi ero reso conto che una serie di cose che speravo si avverassero non sarebbero mai successe, l’aspettativa diventava delusione, e la delusione mi ha portato a fare i conti con me stesso».

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Col diploma in mano, Marouane ci mette dei mesi prima di accettare la situazione. Alla fine cerca lavoro. Trova un impiego da operaio, che è quello che fa tuttora. Col primo stipendio, nel luglio del 2020 — praticamente l’altro ieri, come dicevo — acquista la sua prima fotocamera: una Olympus OM2.

«Non saprei dirti il vero motivo per il cui ho iniziato a scattare — mi ha raccontato — ma posso dirti con sicurezza che è stata una reazione al male che stavo vivendo, un modo per conoscere me stesso, una reazione a ciò che mi stava mettendo in difficoltà. La situazione in famiglia si era fatta difficile, le aspettative genitoriali erano alte e soprattutto diverse da ciò che avevo in mente di fare. Avevo perso le parole, ma scoperto la fotografia».

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Da luglio a settembre Marouane scatta dieci rullini ma per diversi mesi sceglie di non sviluppare le foto. Quando lo fa, si rende conto che su quelle fotografie c’è rimasto impresso esattamente quello che stava vivendo dentro di sé, «raccontato in maniera incredibilmente accurata».
Si accorge che in quegli scatti c’è “la fine di qualcosa”, e che lì, nell’aria liquida della fine, è pieno di amore. Me lo scrive con la maiuscola, Amore — «scattando da poco tempo non ho pieno controllo di ciò che scatto, ma so come fotografare, e voglio che la mia fotografia rappresenti quello, Amore, perché siamo niente, senza».

Da quei rullini è uscita fuori la serie Luce d’agosto: la fine di qualcosa, titolo che unisce due libri: il primo è un romanzo di Faulkner, il secondo è il racconto di Hemingway che ho citato a inizio articolo — «un racconto incredibilmente azzeccato, che in poche pagine riassumeva tutto il mio progetto».

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Oggi Marouane dice di aver accettato la situazione: «Nel momento in cui smetti di studiare e cominci a lavorare, quando ti rendi conto che il lavoro che farai non è quello che speravi e sognavi di trovare, e non trovi l’indipendenza che cercavi, allora non puoi far altro che goderti ciò che ti fa star bene, le “cose preziose”. Perché il fulcro di questo progetto consiste proprio in questo, nel raccontare i momenti di bellezza che ognuno di noi vive seppur la situazione in cui si trova è scomoda».
Con l’accettazione è anche arrivata la voglia di scrivere. Pubblico qui, insieme alle sue foto, anche alcuni suoi versi e pensieri, che non sono pensati per stare assieme alle immagini. Sono, in realtà, altre fotografie — “fotografie a parole” — e gliele ho chieste io, dopo aver visto il suo account Instagram.
«Inizio a capire non solo chi non voglio essere, ma anche chi voglio diventare. Non faccio riferimento a grandi fotografi (seppur abbia un debole per Garry Winogrand) e la mia principale fonte d’ispirazione è la lettura, un linguaggio invisibile mi spinge a creare qualcosa di visibile. Quando leggo creo immagini continuamente. In genere per leggere una pagina mi serve davvero del tempo, quando leggo, sto anche fotografando».

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Macchina Nuova

Mio padre con i debiti sulle spalle.
Le bollette sul tavolino in sala.
La spesa che non basta.
Amore e Sacrifici nel Tajin di mia madre.

La sfilza delle cose storte,
Mani fredde sul manubrio.
Frank Ocean in cuffia.
-Da cosa stai scappando Marouane?-

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Allah U Akbar

Papà con la testa poggiata sul pavimento.
Lui che prega e spera in questo Dio.
-Allah U Akbar-
Mamma lava i piatti,
passa in camera da letto.
Lei che prega e spera in questo dio.
-Allah U Akbar-

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

20Anni

Nissan Blu.
Giacca nuova.
Erba nel Cruscotto.
Idee sparse sul marciapiede.
Partenze e addii.
Clipper nascosto nei Cargo.
Priorità e mancanze.
-Ho 20Anni e non so che inventarmi-

Chesterfield e Libri sparsi nello zaino.
Lo Zio dice di non scappar Via.
Io dico, lasciatemi stare- vogliamo cose diverse.

Scrivo prima di rientrare a casa.
Piango prima di rientrare a casa.

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

A bassa voce

Kafka sulla spiaggia nelle mani,
Mamma apre la porta tanto quanto basta
per augurarci la buona notte.

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Miriam sorride

Miriam sorride mangiando le Ali di Pollo.
Mi aggrappo alla sua risata come ci si aggrappa a una fune.

Eden.

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Farmacia Sant’agabio

Seppur chiudo gli occhi non divento invisibile.
Mi perdo tra i pensieri.
Orchestra nella testa.
Freddo alle mani.
Sgabbio si accende.
Rose Bianche sul ciglio della strada.

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)

Carrefour

Piovono Farfalle.
Luce Blu illumina l’asfalto.
Svolta a sinistra.

(copyright e courtesy: Marouane Khalfadir)
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