Phillip Kalantzis Cope e l’America del “paesaggio di mezzo”

Visto da lontano, quello iniziato con la vittoria di Trump alle elezioni del 2016 e giunto al culmine con l’assalto al Campidoglio dello scorso 6 gennaio, è stato per il popolo americano un lungo e travagliato processo di totale slittamento della realtà (con l’ormai ex presidente come causa e al contempo conseguenza).
Nelle decine di articoli, analisi e opinioni che ho letto sui media americani nei giorni successivi alla “presa” di Capitol Hill, il minimo comun denominatore mi è sembrato il senso di incredulità, lo spaesamento, la difficoltà nel riconoscersi e nel riconoscere di vivere in un paese in cui accadono fatti del genere.
È come se, negli ultimi quattro-cinque anni, all’immaginario collettivo dell’intera nazione fosse mancato quell’appiglio che tutti quanti inconsciamente cerchiamo quando ci risvegliamo da un brutto sogno e tocchiamo qualcosa di “vero” (il nostro stesso corpo, quello del partner, il letto) per avere un contatto materiale con la realtà.

Di periodi simili ce ne sono stati molti nella storia umana, ciascuno con le sue caratteristiche, le sue accelerazioni improvvise e le sue più o meno drammatiche derive. E ogni volta è all’arte che i popoli hanno guardato per ritrovare loro stessi, per riconoscersi di nuovo, per registrare le mutazioni della società, delle sensibilità, degli immaginari.
Agli inizi del XX secolo, quando in Europa le avanguardie artistiche accompagnavano o anticipavano i cataclismi politici, sociali, intellettuali e scientifici di un continente in piena eruzione (le idee socialiste, la psicanalisi, la meccanica quantistica, la prima guerra mondiale), negli USA l’obiettivo di Paul Strand registrava un panorama in pieno mutamento in chiave urbana e industriale, mentre la corrente del cosiddetto precisionismo, influenzato da cubismo e futurismo e mai organizzatosi in un vero e proprio movimento, con un suo manifesto, incarnò tutta l’eccitazione dell’epoca per la modernizzazione del paese, rappresentando attraverso linee geometriche precise (da qui il nome) i paesaggi urbani, le fabbriche e le macchine.

Foto tratta da “Middlescapes” di Phillip Kalantzis Cope, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)

Dopo la seconda guerra mondiale, quando il paese stentava di nuovo a riconoscere se stesso, fu affidato alla ormai diffusissima fotografia documentaria il compito di “rifare il ritratto” alla nazione.
«Nel loro lavoro vediamo realtà profondamente legate alla stessa modernità [del precisionismo, ndr] — ora con la lucentezza spazzolata via», scrive il fotografo Phillip Kalantzis Cope autore di Middlescapes, un libro fotografico che si propone come ideale strumento per mettere in conversazione, nel contesto contemporaneo, le due succitate tradizioni e sensibilità: quella precisionista e quella della fotografia sociale e documentaria del secondo dopoguerra.

Laureato in scienze politiche, con un master in relazioni internazionali e un dottorato sulla produzione e la proprietà dei beni immateriali, Kalantzis Cope, che qualcuno forse riconoscerà come ospite abbastanza frequente della nostra rubrica Flickr/Week(r), porta avanti la sua carriera di fotografo parallelamente a quella di ricercatore e di sviluppatore di realtà editoriali indipendenti.
Middlescapes, gioco di parole tra panorama e nel mezzo, è, come lo descrive l’autore stesso, «un luogo immaginario trovato nella realtà».

Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)

Tra le infinite distese agricole, le cittadine di provincia, i piloni dell’alta tensione, le onnipresenti bandiere a stelle e strisce, i complessi industriali, i terreni in costruzione e le anonime villette suburbane troviamo quello che Kalantzis Cope chiama «un inventario di utopie passate. […] una riflessione sulla sottile interazione della storia catturata in un ciclo infinito: futuri passati, passati futuri»: un ritratto perfetto della società americana odierna e del suo subconscio.

Pubblicato dal piccolo editore indipendente Immaterial Books — una nuova realtà fondata dalla stesso fotografo insieme alla sua socia Tamsyn Gilbert —, il libro si può acquistare online.

Foto tratta da “Middlescapes” di Phillip Kalantzis Cope, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Foto tratta da “Middlescapes” di Phillip Kalantzis Cope, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Foto tratta da “Middlescapes” di Phillip Kalantzis Cope, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Foto tratta da “Middlescapes” di Phillip Kalantzis Cope, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
Phillip Kalantzis Cope, “Middlescapes”, Immaterial Books, dicembre 2020
(courtesy: Phillip Kalantzis Cope)
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