Nata nel 1990, appena un anno prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica, Varia Bortsova è una sorta di archeologa che, attraverso le piattaforme social, va a ripescare e pubblicare alcune delle tessere che componevano il complesso e controverso mosaico di quella che era la vita dietro alla cortina di ferro.
Con alle spalle una carriera da ballerina professionista e una laurea in lingue e giornalismo, è grazie ai ricordi di famiglia che Bortsova ha incominciato ad cercare quel che restava della “galassia URSS” che fece appena in tempo a vedere (ma non a ricordare, essendo all’epoca troppo piccola).
«Dopo aver scoperto l’archivio di videocassette e videocassette dei miei genitori — dice — sono rimasta affascinata dal collezionare i resti di quell’epoca, espandendo la mia ricerca a biblioteche, album di foto di amici e oscuri mercatini delle pulci».
Nel 2016, con una bella raccolta di materiali già in suo possesso, Bortsova ha lanciato l’account Twitter @sovietvisuals, riscuotendo immediatamente un grande successo e un numeroso seguito. A quello si sono poi aggiunti un sito, Soviet Visuals, una pagina Facebook e un account Instagram, che oltre a intercettare un grande pubblico fungono anche da bacino di raccolta di materiali inviati da altrз appassionatз e collezionistз da tutto il mondo.
«Ogni imbarazzante istantanea di matrimonio, ogni registrazione televisiva e ogni pagina di catalogo di moda accuratamente piegata è, in un certo senso, uno sguardo alla vita di quasi 300 milioni di sovietici mentre sperimentavano amore e dolore, celebravano i compleanni dei loro figli, si univano alla (unica) festa, ridevano, piangevano e sognavano nei sanatori, nelle prigioni, nelle cucine comuni e nelle ricercatissime automobili», spiega la fondatrice di Soviet Visual.
Ben cosciente degli aspetti critici che il fenomeno della nostalgia sovietica si porta dietro — la stereotipizzazione e la celebrazione (volontaria o meno) di un periodo storico che, tra qualche luce e molte ombre, sfugge a ogni tentativo di semplificazione — Bortsova afferma che «per alcuni il progetto incarna il retrogusto nostalgico di un passato condiviso; per altri, uno sguardo dietro la cortina di ferro e un’opportunità per riflettere criticamente sulle norme sociali e culturali del tempo. Il progetto non è in alcun modo un tentativo di glorificare o giustificare i costrutti ideologici e le pratiche totalitarie dell’URSS; provo profonda commiserazione per le vittime dei numerosi orrori e brutalità del sistema sovietico. Tuttavia, è importante riconoscere i vari elementi della propaganda che sono stati intessuti nel tessuto della vita quotidiana dei cittadini sovietici, come si vede in molte delle immagini».
Quattro anni dopo il primo tweet, e a pochi mesi dall’immagine più condivisa nella storia di Soviet Visuals (questa), il progetto è ora diventato un libro che raccoglie il meglio di quanto finora uscito online.
Diviso in capitoli tematici — scienza e tecnologia, moda e design, sport e salute, lavoro, famiglia e cibo e bevande — il volume è una sorta di macchina del tempo e di catalogo estetico di un mondo che, per noi occidentali, è spesso al di là di ogni immaginazione. Come nei post sui social, a colpire, nel libro, non sono tanto i materiali ufficiali (la propaganda, i poster, le foto di regime) ma quelli privati, rimasti perlopiù al di fuori della Storia con la S maiuscola.
Pubblicato dalla casa editrice britannica Bloomsbury, Soviet Visuals si acquista online.