India ha 29 anni, insegna alla scuola elementare Dante Arfanelli, quella vicina al molo, accanto al Ristorante Amico. È una di quelle insegnanti che riesce ancora ad amare il proprio lavoro, tanto che spesso trova nelle parole dei suoi alunni quelle che lei non ha per descrivere ciò che prova o osserva. Da un punto di vista clinico, c’è già un nome, anzi un acronimo: India soffre di DAP, ovvero di disturbo di attacchi di panico. E nonostante sia una figura bidimensionale su carta, non ho mai sentito di assomigliare tanto a qualcuno.
A darle vita all’interno di Il mare verticale, edito da BAO, in uscita oggi, è la mano delicata di Ilaria Urbinati, a condurla attraverso la vita ci pensa invece Brian Freschi, le lacrime che hanno bagnato alcune pagine erano tutte mie.
È la storia di una giovane donna il cui mondo ogni tanto si ferma, perde i colori dell’entusiasmo e si restringe a quelli della paura, del profondo, dove manca l’aria. È la storia di chi prova a combattere una guerra di nascosto, perchè se lo fa alla luce del sole con un flacone di pillole in mano a darle forza, tutti gli sguardi si voltano verso di lei e il suo valore come persona, come insegnante, come compagna di vita svanisce nel buio. È la storia di chi osserva piuttosto che combattere. È la storia di Hava, che vuole riportare in un regno lontano la luce, ma che quando trova il temibile Kalabibi non le importa se sia morto o meno, non le importa diventare l’eroina, non le importa trovare una fine, una strada, una via di uscita. India ha capito che anche nel profondo del mare, in quel buio dove non si tocca e dove le piace nuotare, può ancora strillare, sprofondare e nulla le accadrà. Lei e Hava adesso sanno cosa fare quando la luce scompare e insieme affronteranno la più grande delle avventure, quella che si chiama vita.