Ho sempre pensato che il nord del mondo fosse un luogo fatto principalmente di paesaggi, lunghi periodi di alternanza di luce e buio, fauna selvatica e poche tracce umane. La colpa è di un certo tipo di racconti che hanno spesso descritto questi posti come inospitali, più una ricca diffusione di immagini in cui l’uomo non compare quasi mai, se non nelle vesti di turista o esploratore. Eppure c’è, anche se non ci viene mostrato frequentemente e sopravvive alla durezza di questi luoghi.
La conclusione a cui sono arrivata è tutta merito della serie fotografica Faces of the North di Ragnar Axelsson. Il fotografo islandese, cresciuto in una fattoria isolata, ne sa qualcosa della brutalità della vita nel Nord Atlantico e ha raccolto per una ventina di anni, tra Groenlandia, Isole Faroe e nella sua Islanda, scatti che parlano il rapporto tra quella terre e i suoi abitanti.

Sono 100 foto in bianco e nero in grado di raccontare con grande potenza come non sia la natura a piegarsi all’uomo, ma l’uomo a dover trovare una sua dimensione. Non mancano cacciatori di foche, pescatori, cani addestrati al lavoro, ma anche sguardi segnati dal freddo, concentrati sul bianco di un inverno che non sembra dare mai tregua, rughe che narrano storie di quella che piace a tutti chiamare resilienza. Loro ne sono un manuale in carne e ossa e ci piacerebbe che potessero uscire da quelle fotografie, che ci raccontassero di come si fa a stare ancora in piedi quando il vento freddo che viene dall’oceano ti sferza con tutta la sua furia.
Ve ne lascio una piccola selezione, perché possiate innamorarvene come me ne sono innamorata io e magari provare a chiedere a Babbo Natale di farvi regalare il libro che Ragnar ha ripubblicato, non molto tempo fa, di questo suo bellissimo racconto per immagini.









