Grazie all’amplificazione di persone come Greta Thunberg, è ben chiaro a tutti che parlare di cambiamento climatico e dei suoi effetti sul pianeta è diventato un imperativo. Girare lo sguardo dall’altra parte e trattare l’argomento come se fosse di serie B è piuttosto difficile, con la quantità di notizie e dettagli diffusi ogni giorno. C’è chi ha scelto di girare testimonianze video o fotografiche degli eventi più eclatanti, chi affossa il comportamento di governi e politici con la propria penna (più o meno virtuale) e chi, come Zaria Forman, ha deciso di affidarsi alla tela.
La prima cosa da sapere di Zaria, come specifica lei stessa nel suo TEDxTalk, è che, seppure usi mani e dita per realizzare le sue opere con pastello morbido, le ha sempre dato sui nervi chi prova a definirla finger painter; così come preferisce chiamare i suoi risultati artistici disegni e non dipinti. Sul tema però della sua produzione non ci sono dubbi, è il ghiaccio, la più forte testimonianza di ciò che stiamo lasciando scomparire sotto i nostri occhi.

Non è una scelta casuale, ovviamente: fin da piccola, Zaria viaggiava con la propria famiglia grazie al lavoro di fotografa di sua madre, una donna piena di entusiasmo e di ottimismo, fortemente affascinata dall’Artico. Nel 2012, avrebbero finalmente coronato il sogno di aggiungersi ad altri artisti e studiosi in una spedizione sulla costa nordoccidentale della Groenlandia e raccontare ognuna a modo suo la bellezza dello spettacolo davanti ai loro occhi, ma la scomparsa prematura della madre spezza questo progetto, che Zaria decide comunque di non abbandonare. Scopre ancora di più, in questa occasione, che il ghiaccio ha una voce che delle volte la spaventa, che ha una vitalità in continuo movimento e cambiamento. Capisce che se quella bellezza ha colpito così tanto lei, colpirà inevitabilmente altri e li porterà almeno a riflettere sull’importanza di tutelare i paesaggi. Per questo motivo non si ferma all’Artico e ad un progetto che avrebbe voluto condividere con la madre: si unisce ad altri artisti a bordo della National Geographic Explorer in Antartide per quattro settimane, affina le sue conoscenze tecniche e testa una visuale dall’alto collaborando con la NASA e poi si sposta più a sud, verso l’equatore, per non perdere traccia di quel ghiaccio.
Ogni viaggio è caratterizzato da lunghe esplorazioni, scoperte e raccolta di materiale fotografico, per poi fare ritorno a casa, in America, dove si dedica a lunghe ore di elaborazione di ricordi e fotografie su tela nel suo studio, come fossero sedute di meditazione. Zaria ci crede molto nel potere di ciò che rappresenta nelle sue opere: come molti, ritiene che l’arte abbia un impatto emotivo maggiore rispetto alla quantità di notizie che ogni giorno ci vengono propinate e i cui toni sono per lo più cinici. Dice che sia stata sua madre a trasmetterle questa tendenza a voler mostrare il positivo, piuttosto che la distruzione già in atto, e lascia che sia delle volte il ghiaccio, delle volte le onde delle Maldive pronte a sommergere le proprie isole a causa dell’innalzamento dei mari, a ricordarci ciò che non vediamo nella nostra quotidianità, ma che esiste ed è in pericolo. Con ogni enorme tela che aggiunge alla sua produzione, spera che quella reazione emotiva spinga altri, come è successo a lei, ad agire.









