I classici della letteratura sono tali in quanto senza tempo, capaci di scavare fin nel profondo dell’animo umano e parlare a noi lettori contemporanei con la stessa potenza con cui parlavano ai lettori del passato.
Dopo 10, 100, 500 anni un classico ha ancora qualcosa da dire e da insegnare. È sempre lo stesso eppure sempre in trasformazione, nella sua capacità di andare a toccare corde diverse in base a chi lo legge, quando, dove, da che punto di vista, in che situazione.
«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire», scriveva Calvino nel suo saggio Perché leggere i classici. Di un classico «ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima», per questo continuiamo a tornarci sopra, ancora e ancora, fino a consumarne le pagine, fino a sgualcire la copertina, a riempirlo di “orecchie”, note, segnalibri, sottolineature.
Proprio su questo rapporto “fisico”, sull’amore totale da parte del lettore, che porta alla consunzione dell’oggetto-libro, si basa la nuova, brillante campagna di Penguin Classics, che mostra foto di classici — ovviamente Penguin — consumati, rotti, tenuti insieme col nastro adesivo.
Ideata da Sam Voulters, brand director della casa editrice britannica (che nel 2013 si è fusa con l’americana Random House) e dal designer Tom Etherington, la campagna mostra volumi che appartengono a scrittori (c’è anche Carlo Rovelli, con La Repubblica di Platone), artisti, librai e semplici lettori, fotografati da Lol Keegan e affissi nelle stazioni della metropolitana di Londra.
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