Nel momento in cui qualcosa risuona dentro di te, te ne accorgi. Percepisci quella vibrazione, come quando canti col fon acceso e con la voce raggiungi la stessa frequenza dell’apparecchio.
Le fotografie di Martha Never, quando hanno incominciato ad apparire nel gruppo Flickr di Frizzifrizzi, ho iniziato a vederle — e sentirle — vibrare. Una volta attraversata la retina, s’intonavano con qualche sfuggente sensazione di familiarità: una nostalgia per qualcosa che non ero così sicuro di aver davvero vissuto; uno stato d’animo che fino a quel momento non ero riuscito a fissare e a cui non avevo saputo dare un nome; un bisogno di purificazione dopo tanto guardare e troppe informazioni.
Ciò che notavo, soprattutto, era la stupefacente capacità di quelle immagini di essere al contempo immobili ma anche in continuo stato d’agitazione: ne potevo ascoltare il rumore, il crosciare dell’acqua, lo scricchiolio del ghiaccio e del vetro, il soffiare del vento, la voce dei luoghi. Potevo vedere lo sfavillio della luce, sentire sulla pelle la frescura o il calore. Come se, dentro alle fotografie, fossero rimaste appiccicate alcune particelle di ciò che era passato davanti all’obiettivo, eccitate e messe di nuovo in moto dallo sguardo dello spettatore.
Sono pieni di vita, gli scatti di Martha Never, anche laddove il soggetto è materia inorganica. E sono colmi di una purezza ancestrale, pre-umana, pure quando le tracce antropiche appaiono.
Non è un caso che l’acqua e la luce — fonti di vita, simboli di purificazione — siano, come lei stessa mi ha raccontato, i suoi due elementi preferiti, e il suo sito pare organizzato come un quaderno di appunti di un naturalista, o di un ragazzino che sta scoprendo le meraviglie del mondo e le cataloga per non dimenticarne e non lasciarne fuori neanche una: biosfera, luce, chimica, terra, acqua, cielo e uccelli.
Seguendola su Flickr, o su Instagram, si ha la sensazione di stare partecipando in tempo reale alle sue esplorazioni e alle sue epifanie. Sembra di star lì, il che è paradossale visto che non è chiaro né dove né quando sia quel lì, e Martha stessa sembra essere al di fuori del tempo e dello spazio: non sappiamo quanti anni abbia né dove viva, ed ho evitato di chiederglielo, quando l’ho contattata, perché non credo siano informazioni che possano cambiare di una virgola l’impatto delle sue foto.
Ciò che le ho chiesto, invece, è quando ha cominciato a fotografare, e lei mi ha risposto che è “colpa” di suo padre: «qualche anno fa vidi alcuni suoi scatti — still life e street photos — e pensai che fossero davvero buoni, quindi mi venne voglia di fare foto come le sue. Fu in quel momento che scoprii la fotografia. Era anche il periodo in cui nascevano i social network e cominciavo a guardare le foto degli altri. Poco dopo mio padre mi comprò una reflex digitale, che uso ancora oggi, e cominciai a scattare con quella. Qualche anno dopo mi regalò la sua analogica, insieme ad alcuni libri sugli aspetti tecnici della fotografia».
Con una laurea in scienze ambientali e una grande passione per l’arte, Martha Never è rimasta folgorata dalla fotografia analogica, soprattutto perché è legata alla chimica — materia che ha amato molto — e perché la considera come una forma di sperimentazione unita a un pizzico di magia, che dà risultati imprevedibili.
Cresciuta con una nonna che aveva l’hobby della pittura, dai suoi libri ha imparato a conoscere gli impressionisti, che a suo dire l’hanno molto influenzata, specialmente le loro rappresentazioni del paesaggio.
«Penso di avere una sensibilità speciale per i paesaggi», mi ha raccontato. «Fin da bambina. E credo che, inconsciamente, sia per questo che ho scelto la fotografia di paesaggio. Amo molto questo genere. Sto anche considerando l’idea di iniziare una sorta di reportage sociale per documentare gli effetti dell’attività umana sulla natura».