Like a Pearl in my Hand: un progetto fotografico sui piccoli orfani cinesi ciechi

Dal 1979 al 2013 la Cina ha messo in pratica la famigerata “politica del figlio unico”, vietando alle coppie di avere più di un bambino. Tra i tanti effetti di questo rigido controllo delle nascite ce n’è uno — terribile — che finora non conoscevo e che coinvolge tutti quei piccoli che nascono con qualche forma di disabilità: potendo avere un solo figlio, i genitori non ne vogliono uno “fallato” (mi si perdoni la brutalità ma il succo è questo) e quindi, anche per non perdere la faccia (nella cultura cinese è ancora fortissimo il concetto del diu mianzi, il perdere la faccia, appunto, fonte di grande vergogna e stigma sociale), spesso lo abbandonano.

Non è raro, dunque, che gli orfanotrofi cinesi siano pieni di bimbi con vari livelli di invalidità. Come la Fondazione Bethel, che ospita e si prende cura di orfani non vedenti, ai quali l’artista olandese Carina Hesper ha dedicato un progetto tanto interessante quanto toccante — in tutti i sensi, e più avanti spiegherò il perché — intitolato Like a Pearl in my Hand.

Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)

Andando a visitare la sede di Pechino dell’orfanotrofio Bethel, Hesper ha conosciuto e fotografato alcuni dei bambini, stampando i ritratti su una carta che è stata poi ricoperta con un inchiostro termocromatico, completamente nero finché non lo si tocca: reagendo alla temperatura corporea diventa infatti trasparente, rivelando così i volti degli orfani.

Come quei bambini è attraverso il tatto che conoscono e interagiscono con ciò che hanno attorno, così l’unico modo per poter vedere le foto di Hesper è toccarle. E serve il calore umano per scoprire, esattamente come di calore umano essi hanno bisogno.

Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)

Like a Pearl in my Hand si sviluppa come un libro, che contiene 32 fotografie accompagnate da testi in inglese e cinese scritti da Bettine Vriesekoop e Hannes Wallrafen — autrice esperta in cultura cinese la prima, fotografo documentarista diventato cieco il secondo.

Quando Federico me l’ha segnalato, ho rimuginato un po’ sul fatto di scriverci su o meno, visto che si tratta di un libro uscito già qualche anno fa, ma poi sono rimasto coinvolto su così tanti livelli dall’idea e dalla sua realizzazione che ho messo da parte ogni dubbio.

È del 2017, è anche piuttosto costoso (si può acquistare online, ne sono rimaste poche copie), ma poco importa: chi vorrà — e potrà — lo acquisterà, partecipando a questa straordinaria esperienza, sapendo anche che il 5% del ricavato andrà all’orfanotrofio Bethel di Pechino.

Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
Carina Hesper, “Like a Pearl in my Hand”
(courtesy: Carina Hesper)
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