Siamo ormai abituati alla valanga di critiche, ironie, polemiche e dibattiti quando un’azienda o un’istituzione presenta un nuovo logo e una nuova identità visiva (ultimo, in ordine di tempo, quello della Triennale di Milano — leggere i commenti). Critiche e dibattiti che, com’è nello spirito del tempo, tanto velocemente e potentemente si infiammano quanto rapidamente si dissolvono. E mentre la vis polemica si sposta sul prossimo bersaglio, il vecchio logo, quello sostituito, dismesso, che fine fa? Oltre a passare il proprio eterno riposto nei libri di storia della grafica e della comunicazione, esiste un ideale cimitero-delle-identità-che-non-sono-più?
In effetti sì, esiste. Anni fa uscì un libro, LOGO R.I.P., che venne definito da Eye Magazine come una «critica della cultura aziendale e della complicità che trova nel mondo del design, ma anche un celebrazione di alcuni dei simboli grafici più risonanti creati nel secolo scorso». Uscito inizialmente nel 2003 e poi di nuovo nel 2012 in un’edizione rivisitata e aggiornata, il libro però non può star dietro ai continui cambiamenti a cui i marchi ci hanno ormai abituati.

Instagram è probabilmente la piattaforma perfetta per una nuova e più agile versione del camposanto dei loghi, e infatti è da poco nato Logo In Peace, un account che semplicemente pubblica i vecchi loghi affiancandoli ai nuovi, segnalando dove possibile le date e i progettisti coinvolti.
Il progetto, che non ha niente a che fare col succitato libro, dimostra anche come, in molti casi, l’identità si stia uniformando a degli stili ben precisi e simili tra loro: uno su tutti, la corsa dei marchi di moda verso i caratteri bastoni, tema di cui si è parlato molto ultimamente.


[via]