L’architettura è, tra le arti, quella legata più intimamente allo spazio. L’architettura crea spazio dove non ce n’è, trasforma il nostro modo di fruirlo. Senza spazio cessa di esistere l’architettura e rimane la scultura, che puoi toccare, alla quale puoi girare attorno ma che non puoi vivere e abitare.
«Rinchiudere uno spazio è l’oggetto della costruzione, quando costruiamo non facciamo altro che “staccare” una quantità conveniente di spazio, isolarla e proteggerla: tutta l’architettura deriva da questa necessità e l’architetto modella nello spazio come lo scultore modella la creta. Egli disegna il suo spazio come un’opera d’arte», scrive lo storico Stephen Kern nel suo celebre saggio del 1983 Il tempo e lo spazio: la percezione del mondo tra Otto e Novecento.
Cosa succede però se, dato uno spazio creato dalla visione di un architetto, viene tolta la struttura che lo disegna? Rimane il vuoto. Un vuoto che tuttavia l’illustratore, grafico e architetto Federico Babina ha provato a immaginare come traccia di un’idea di architettura. O meglio, di diverse idee di architettura, quante sono quelle che ha rappresentato nella sua nuova serie Archivoids, dove è lo spazio negativo, scavato nella terra, a ricordare le forme che caratterizzano l’opera di alcuni grandi architetti e studi d’architettura del passato e del presente.
Definite dall’autore come «un’architettura dello scavo, la rimozione della materia, la sottrazione dei volumi per dare forma e presenza al vuoto, il vero elemento “costruttore” di queste illustrazioni», le illustrazioni si ispirano allo studio giapponese SANAA, a Le Corbusier, Louis Kahn, Tadao Andō, Álvaro Siza, Walter Gropius, Frank Lloyd Wright, Ludwig Mies van der Rohe e Bjarke Ingels.