© Markus Brunetti

Le chiese di Markus Brunetti, formate da migliaia di foto “cucite assieme”

Che ci sia qualcosa di strano, nelle foto di Markus Brunetti, si percepisce anche da un dettaglio apparentemente insignificante: l’anno indicato accanto al titolo. Duomo di Milano, 2009-2017. Cattedrale di San Nicola Pellegrino di Bari, 2014-2018. Notre-Dame di Parigi, 2006-2015, e così via.

Ma che significa? Come si possono impiegare quattro, otto, nove anni per scattare una fotografia?
La risposta è che non si tratta di una fotografia ma di centinaia, a volte migliaia di scatti, realizzati in giorni diversi, talvolta in mesi diversi, o persino anni. Un metro quadrato per ogni foto, “cucita” poi assieme alle altre in un lunghissimo processo di post-produzione che mira a enfatizzare ogni dettaglio e ad eliminare tutto il superfluo, cioè persone — perlopiù turisti —, cani, piccioni, baracchini di souvenir, lampioni, cartelli: praticamente ogni traccia di vita animale e ogni dettaglio di contemporaneità.

Ciò che rimane sono i soggetti — le chiese antiche di tutta Europa — nella loro dettagliatissima maestosità, enormi (ogni opera è stampata in grande formato), pure, esatte, immobili.
Io non sono credente ma riconosco una ventata di spiritualità quando mi investe d’improvviso. Mi capita entrando in certe chiese — sarà la luce che filtra dalle vetrate, saranno le dimensioni, non ho mai analizzato troppo, preferendo godermi il momento — e mi è capitato guardando le foto di Brunetti: non subito, perché la prima cosa che ho percepito è quel “qualcosa di strano” di cui parlavo all’inizio. Poi però è arrivato, il vento mistico, e ho colto, nelle immagini, quel loro essere fuori dal tempo, assolute.

Il tempo, d’altronde, è la chiave di volta dell’intero progetto. Brunetti, artista di base a Dresda, ha cominciato a lavorarci nel maggio del 2005, dopo aver lasciato il suo lavoro in campo pubblicitario, dove si occupava soprattutto di fotoritocco. Prima ha acquistato un camion, l’ha convertito in casa mobile e studio di lavoro e si è imbarcato nel suo Grand Tour, inizialmente da solo e poi in compagnia della moglie, Betty Schöner, fotografa anche lei.

Il tempo, tanto, è quello indispensabile per scattare.
Il tempo, ancora di più, quello che serve per ritoccare.
Il tempo per la ricerca della perfezione — con l’evolversi delle tecnologie migliorano i risultati, e Brunetti spesso ritorna a fotografare di nuovo se pensa di poter fare un lavoro migliore.
Il tempo, che Brunetti non avrà, necessario per portare a termine un lavoro che termine non può avere, e cioè catalogare, se non tutte, perlomeno le chiese più significative.
Il tempo, infine, impiegato da tutti coloro che hanno lavorato ai questi magnifici edifici: decine di anni, talvolta secoli. Muratori, scalpellini, falegnami, mosaicisti, decoratori, scultori, pittori — migliaia e migliaia di persone che hanno sgobbato duramente e spesso non sono riusciti a veder finita l’opera per la quale stavano prestando le loro mani, il loro ingegno, la loro fatica, il loro tempo.

Al netto della dimensione spirituale, il Grand Tour di Brunetti è anche un omaggio a tutti questi anonimi artigiani e operai. Nelle sue foto — prese in giornate grigie o al mattino presto, per avere una luce piatta e diffusa, senza contrasti — si vede ogni dettaglio. Nel pdf che racconta questo viaggio senza fine si vede bene un mosaico della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Orvieto. Scrive l’artista e critico Andreas Langen nel testo: «Brunetti è capace di ingrandire queste sezioni fino a quando ogni singola pietra del mosaico può essere vista perfettamente a fuoco. Da qualche parte, lungo i margini, i restauratori hanno lasciato la loro firma, a dozzine di metri di altezza, invisibile a ogni visitatore: RESTAURATO – STUDIO MONTICELLI – MCMLXII. È probabile che non ci sia mai stato prima qualcuno che ha visto l’iconografia su questa architettura a un tale livello di risoluzione dell’immagine».

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