Le immagini hanno scarsa capacità logica e molta efficacia nel rilevare il dato fisico di un problema. Il libro si chiede se l’uomo come idea e come fatto in sostanza è quel linguaggio. Cosa lo differenzia dal suo linguaggio. L’aderenza tra linguaggio e uomo è così stretta, in condizione di guerra, che sul tavolo analitico se ne ricava una nozione antropologica maligna: il linguaggio è cattivo, o il suo uomo lo è, o l’uno e l’altro lo sono. Proprietario assoluto, da essere naturalmente sterminatore di chiunque altro contrasti tale momentanea identità. O entrambi sono radicali, buoni conduttori di errore e verità, ma ai loro caratteri lo sterminio è ragionevole. Tale dato vale anche per l’uso del falso, rispetto alla verità creduta. A costo di difenderne il nucleo, il linguaggio mente.
È un passaggio tratto dal testo che Fabio Mauri scrisse per il suo libro d’artista Linguaggio è guerra, pubblicato dall’editore romano Massimo Marani.
Era il 1975 e Mauri, all’epoca quasi cinquantenne, selezionò fotografie e frammenti di foto da riviste belliche tedesche e inglesi, giustapponendole in una sequenza non cronologica, creando invece una sorta di nuova trama che vede però come protagonista il linguaggio, o meglio il “linguaggio di guerra”.

(courtesy: Yard Press)
Secondo Mauri, che la guerra l’ha vissuta da giovanissimo — nel 1942, appena sedicenne, fondò con Pasolini, del quale fu grande amico per tutta la vita, la rivista Il Setaccio, foglio ufficiale del comando bolognese della Gioventù Italiana del Littorio. Secondo Mauri, dicevo, la specificità della cultura europea è l’ideologia, e la lotta per l’egemonia ideologica è innanzitutto una lotta di linguaggi.
Il linguaggio, dunque, alla stregua di un’arma: il linguaggio è guerra, appunto, come recita anche la scritta con cui Mauri timbra tutte le foto del libro, scritta che — se si osserva bene — sembra entrare a far parte delle immagini, completandone un dettaglio, diventando una bandiera, o un fascio, un drappo, una decorazione, parte di un mirino, un sole, al contempo ridefinendo gli equilibri della composizione grafica delle pagine.

(courtesy: Yard Press)
Tra i più grandi artisti d’avanguardia del secondo Novecento, Mauri — scomparso nel 2009 a 83 anni — pensò il libro anche come un’installazione, che dal 1975 fino al 2016 venne esposta a Parma, Bologna, Vancouver, Roma, Lecce, Lille, Genova, Trieste, Londra e Bergamo.
Il volume, invece, seppur non introvabile, si può ormai recuperare solo sul mercato dei libri rari. Almeno finora, perché Yard Press, casa editrice indipendente attentissima alle avanguardie artistiche, alla cultura underground e ai materiali d’archivio, sta per pubblicarne una copia anastatica.
Di Linguaggio è guerra saranno prodotte 1000 copie identiche all’originale, con in più un inserto con la traduzione in inglese del testo che Mauri mise in appendice, insieme a un piccolo saggio critico di Filiberto Menna.

(courtesy: Yard Press)

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