GM60, i libri ostrica

Tutti sanno che tra cielo e terra ci sono più cose di quante la filosofia di Orazio non riesca nemmeno a immaginare. E tutti sanno che le ostriche in sé, come molluschi bivalvi, sono anodine e bruttacchiole, mentre quel che c’è dentro, dalla polpa alle perle, quello sì che ha gusto e valore.
Stessa cosa per i Gialli Mondadori degli anni sessanta (GM60), gli anni del boom, delle autostrade, degli elettrodomestici e degli urlatori.

Visti da fuori, questi libri sono ostriche: colorati ma monotoni.
Pur caratterizzati dall’oleografica e prolifica bravura di Carlo Jacono e dalla teutonica chiarezza del carattere usato nei titoli (il Cairoli, della fonderia Nebiolo), sono sempre lo stesso identico libro.
Eppure tra quelle valve così ripetitive sobbolle e guizza un intero ecosistema: tra prima e quarta di copertina, molte più cose di quante il nostro fiacco intuito ci permetta di fiutare.
Certo, c’è il romanzo, ma è del tutto secondario.
Già più interessante sarebbe scoprire perché il suggestivo titolo originale si rattristi spesso in una versione italiana lenta e goffa, quasi punitiva.

Dead Hero, per fare qualche esempio, si giovannadarchizza in Campione al rogo. Il quasi poetico Treasure of the Sun, diventa il burocratico Jimmy Carroll di Scotland Yard. The Careless Corpse, degno di Poe, sfocia in una disposizione giudiziaria: Arrestate Michael Shayne!. The Affair of the Exotic Dancer scivola nel venatorio e ridicolo Rossa da richiamo. Family Skeletons si prosaicizza in Un velo sul passato.
Gli stessi nomi degli autori, quasi tutti dei carneadi ai non specialisti, offrono sincero godimento estetico: Mignon G. Eberhardt; Cecil Freeman Gregg; D. M, Devine; F. e R. Lockridge; J. Norman Harris; Brett Halliday; Whit Masterson. Suoni tondi e schioccanti, che danno gran soddisfazione alle labbra e al palato. Ogni tanto invece ecco qualcuno più famoso: S. S. Van Dine, oppure Ed McBain (nato Salvatore Albert Lombino, aka Evan Hunter, Ezra Hannon, Curt Cannon ecc.), o Patrick Quentin (pseudonimo di ben quattro giallisti ambosessi angloamericani; un collettivo, lo si definirebbe adesso, i Wu Ming dell’epoca).
Quindi: il romanzo, e poi gli autori.

Ma d’un tratto, inaspettata e sorprendente, sparpagliata per le pagine, arriva il resto della biomassa, un plancton di intelligenza e stravaganza. E arriva anche la bellezza. E perfino l’ironia, con vignette e barzellette a tema delitto e castigo.

Ovunque pubblicità di libri, a spezzare il severo e gradevole impaginato a due colonne. A volte addirittura sofisticati consigli di lettura di opere formidabili.
Borges, per esempio: si suggerisce la lettura della Storia dell’eternità, (…) un’allegoria dell’ansia che muove l’uomo. E poi, in una spirale ascendente caotica e virtuosa, Gramsci (Duemila pagine), Felice Ippolito (La politica del CNEN – Centro Nazionale per l’Energia Nucleare), Giulio Carlo Argan (Progetto e destino), Ariosto (Tutte le opere), Gregor von Rezzori (Edipo vince a Stalingrado), Giuseppe Antonio Borgese (La critica Romantica), Jay Leyda (Storia del cinema sovietico) e via intellettualizzando fino alle 786 pagine dell’Essere e il nulla, di Jean-Paul Sartre.

Non solo.
Appaiono i confetti lassativi Falqui (tanto per passare dal nulla al tutto), l’olio multigrade F.1 Agip (l’olio dai sette pregi), i fumetti di Braccobaldo e Nembo Kid (Superman, per chi ha i capelli grigi, se capelli ancora ha).

E poi le interviste a personaggi incredibili, specie in quel contesto: Salvatore Quasimodo, Nobel per la letteratura nel 1959. Eugenio Montale, nel 1965 non ancora Nobel, ma nel 1975 sì. Costoro ci parlano di cosa possa legare cronaca nera e poesia, o dei rapporti causa/effetto che portano a crudeli delitti.

Tutto questo adesso sembra follia. O fantascienza più di Star Wars.
E invece al tempo dei GM60 era solo normalità: quando un intelligente editore generalista riteneva plausibile che il lettore di un’opera di svago potesse essere incuriosito anche da letture impegnative. E gli proponeva allettanti banchetti mentali. È un modello diverso di editoria, dove il libro non è solo un prodotto da vendere nel più alto numero di copie possibile, ma anche e prima di tutto un vero contenitore culturale.
Intelligenza e cultura. Strano ma bello, e non finisce nemmeno qui. Perché poi c’è un giardino magico dove una brillante intelligenza si mescola con la maestria del segno grafico, e in quel giardino crescono le illustrazioni di Ferenc Pintér, che stanno alle immagini di Jacono come i poster polacchi stavano alla grafica cinematografica occidentale. Autorialità e ricerca contro mestiere.

Sono immagini in bianco e nero realizzate per le pubblicità delle varie tipologie di gialli Mondadori (la serie di Fantomas, i volumi di Graham Greene, i Neri Mondadori, Urania, Estate Gialla). E sono opere di un genio trentenne, un po’ ungherese, un po’ fiorentino, una sola delle quali vale più di tutte le copertine di tutti i gialli del mondo. Sono gemme forse poco dissepolte, perse dentro pagine perse dentro cantine dimenticate.

Per la creatura gigantesca che è stato, Pintér è abbastanza sconosciuto, nonostante sia da mettere nei libri di storia dell’arte.
Di certo vale la pena frugare tra le bancarelle polverose facendosi venire la dermatite da contatto, pur di entrare in possesso di uno qualsiasi di questi volumi.
Se ne trovano e, se ci va bene, ci si può anche imbattere in due o tre disegni dentro la stessa uscita.

Addirittura, nel già menzionato Campione al rogo, di William Campbell Gault (n. 60 del 30 Agosto 1964), ce ne sono quattro. Cinque, contando la fotografia in terza di copertina del primo volume dell’Epistolario di Franz Kafka, tradotto da Ervino Pocar.
Di questi quattro disegni, fatti di idee più che di inchiostro, colpisce la qualità.
Acume, capacità di sintesi, vigore grafico, raffinatezza.
Scorci inattesi, tagli immagine estremi eppure naturali, ironia a volte macabra. Forza e delicatezza.

C’è un cowboy a cavallo, a pagina 41. Pochissimi segni, una silhouette appena, ma viva e al galoppo. La pistola al fianco, si tiene in piedi sulle staffe. Esce dalla pagina, sparando al cielo col fucile, allegro. La pagina promette (…) un viaggio denso di insidie, difficoltà e colpi di scena. Si parla di Viaggio a Matecumbe, di Robert Lewis Taylor.

A pagina 83 il cadavere è visto da dietro, prono sopra un pavimento invisibile, le suole delle scarpe in primo piano, il coltellaccio da cucina piantato in mezzo alla schiena. Parallela alla lama una scritta: un brivido nella calda estate…

A pagina 89 un piccolo razzo vola verso l’alto portandosi dietro, nella sua scia, il titolo Spaceman, la nuova, movimentatissima avventura spaziale di Murray Leinster.

In alto al centro, mezzo nero mezzo bianco, le due metà appena mediate da un accenno di sfumatura, un piccolo pianeta. Serve a dare profondità grafica e concettuale a tutta l’illustrazione.

Poco oltre, a pagina 95, ecco l’illustrazione per Una bara per Lady Beltham, della serie Fantomas, dove una finta decapitazione sul palcoscenico si tramuta in un delitto. Un corpo femminile giace decollato, descritto solo dalle ombre — ombre veloci, quasi asciutte. La testa ad angolo retto rispetto al corpo, quel corpo è un burattino rotto, una marionetta gettata in uno spazio bianco: forse solo la pagina (perfettamente composta nella tipografia), forse il palcoscenico, forse la vita.

È un disegno magico, privo di dettaglio ma descrittivo come una fotografia.

Con Pintér, tutto quello che non è disegnato, ma solo suggerito, si vede benissimo. L’osservatore deve compiere parte del lavoro dell’illustratore, e facendolo ne gode. È una collaborazione che fa parte del progetto grafico.

Ancora qualche esempio, ancora due o tre perle.
Tutt’altro che la verità (The weird World of Wes Beattie), di J. Norman Harris (GM 849 del 9 Maggio 1965), pagina 69. Dice il testo: Missione difficile per Donald Lam e Bertha Cool: si tratta di ritrovare le tracce di una donna scomparsa tanto tempo fa … Ma i due celebri investigatori non disarmano.
Sopra il testo, un disegno.

Un’anziana signora vista di profilo, che supponiamo sia la Cool, fatta quasi di un unico tratto di penna, si piega ad angolo retto guardando qualcosa sul pavimento. Che vediamo bene perché non c’è. Accanto a lei, ugualmente piegato ma visto frontalmente, e tratteggiato con una punta più pesante, un uomo, Lam, le mani unite dietro la schiena. Cercano tracce, e sono tracce essi stessi.

Arrestate Michael Shayne! (The Careless Corpse), di Brett Halliday (GM 799 del 24 maggio 1964), pagina 81. Un disco volante, con tanto di marziano sotto vetro, proietta la sua ombra ovale e nera. Nel mezzo, come scie del suo volare, le parole: Per accordi in esclusiva/ intervenuti tra la ARNOLDO MONDATORI EDITORE/ la GALAXY PUBLISHING CORPORATION/ ed altri fra i maggiori gruppi di riviste/ americane di science fiction/ tutta la fantascienza/ tutti gli autori/ tutte le scuole/ tutti i più bei racconti in/ URANIA settimanale. dall’undici giugno. Ironia, forza, serietà, equilibrio, minaccia: non manca nulla.
Neppure le antenne dell’alieno. In una decina di tratti soltanto, più una larga macchia nera.

Ultimo esempio, primo di tutti quelli non ricordati. Affari d’oro per Donald Lam (Up for Grabs), di A.A. Fair (GM 826 del 29 Novembre 1964).
A pagina 111, una mano che cala dall’alto strangola una donna di cui si vede solo il volto di profilo. Lei grida, o ci prova: anche qui pochissimi segni. La bocca spalancata, un accenno di capelli ancora in piega. Le dita e le nocche dello strangolatore, pesantissime, come un ingranaggio non lasciano scampo. La composizione, testo compreso, è tutta spostata a sinistra.
Un capolavoro. È Il Delitto di Anversa, un nuovo intrigo di Fantomas.

Grafica e crimine vanno d’accordo. Si amano.
Il padre di Peretz Rosenbaum, in arte Paul Rand, aveva una drogheria che serviva i temibili membri della Murder Incorporated di “Bugsy” Siegel e “Lepke” Buchalter. Erano clienti gentili e pagavano cash.
Saul Bass ha disegnato poster e titoli per Anatomia di un omicidio, di Otto Preminger (1959, musica di Duke Ellington).

Romek Marber ha illustrato le copertine della Crime Series di Penguin, astratte e potenti.
Adesso tutta questa carta ingiallisce e le rilegature si sbriciolano.
Cadono le pagine, il tempo passa e gli autori muoiono. E anche i lettori, dopo essersi incanutiti. Le trame perdono senso.
Resta l’intelligenza, da qualche parte, e il salato gusto delle ostriche.

editorialista
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