«Se Homo sapiens ha trovato mille espedienti per proteggersi dal freddo, dalla fame, dalla malattia o dagli incerti della natura, se ha saputo esplorare e colonizzare tutte le terre, viaggiare nell’universo e inventare armi sofisticate per uccidere i suoi simili, è inevitabile constatare che le mestruazioni pertengono ancora all’irrazionale. Nonostante la sua banalità, il ciclo resta un fenomeno misterioso, circondato da leggende, superstizioni, reticenze e stereotipi la cui persistenza non può che stupire. Che provengano dalla mitologia, dalla religione o dalla medicina, continuano a permeare le mentalità tanto da ripercuotersi sulla salute e sul benessere delle donne in tutto il mondo».
A scriverlo è la giornalista Élise Thiébaut nel suo saggio-manifesto Questo è il mio sangue, pubblicato da Einaudi.
Il libro non l’ho ancora letto, ma l’ho segnato nella lunghissima lista dei futuri acquisti dopo averne apprezzato una recensione, a firma Valentina Pigmei, uscita su Il Tascabile.
Nel suo pezzo Pigmei scrive anche che — con l’arte contemporanea a fare da apripista — si sta incominciando a parlare di “rivoluzione mestruale”. C’è molta più attenzione, e lo si nota dalle copertine delle riviste, dalle proposte di legge e dalle battaglie politiche (ad esempio sul congedo mestruale dal lavoro o sulla cosiddetta Tampon Tax). Il 2015 è stato persino ribattezzato The Year of the Period.
Nonostante questo, il tema è ancora largamente tabù. E una vera e propria “normalizzazione” credo sia di là da venire.
Da uomo ammetto che un po’ di imbarazzo c’è, nel trattare l’argomento. Non tanto con le donne, perlomeno con quelle con cui sono in confidenza — ho ascoltato ore di conversazioni sulla portata dei flussi, la frequenza, le manifestazioni invalidanti della dismenorrea, la tipologia di assorbenti, le “pre-millennium tension” (e tutte le volte mi veniva in mente la copertina di uno dei miei dischi preferiti degli anni ’90, che si intitolava proprio così), gli aneddoti imbarazzanti, dispiacendomi anche di non avere pressoché nulla da dire in proposito, tranne che uscirmene, in maniera assai fuori luogo, con «avete presente il disco di Tricky?», oppure raccontando il mio di aneddoto imbarazzante, e cioè quanto scoprii un grumo di sangue mestruale di una delle mie coinquiline cristallizzato sulla tazza del water, del quale mi accorsi solo dopo essermi seduto, molto assonnato, al mattino presto di una giornata di lavoro.
Sono piuttosto sicuro, però, di non aver mai parlato di mestruazioni con altri uomini. Di averne parlato seriamente, intendo, cioè al di là del molesto additare (e umiliare, me ne rendo conto), negli anni dell’adolescenza, questa o quella compagna di classe particolarmente nervosa. «Ma che ha le mestruazioni?», «Ha “il marchese”?» (espressione che ho sempre trovato molto aggressiva) o, come si dice dalle mie parti, «Ha “i parenti in casa”?», una delle tante perifrasi che, da sole, sono un ottimo indicatore per quantificare il timore quasi tribale che c’è attorno al fenomeno-mestruazioni.
Per smontare il tabù occorre lavorare sul linguaggio e sulla rappresentazione. Utilizzare le parole giuste, discuterne, stimolare il dialogo, ciascuno con i propri mezzi e le proprie capacità. Chi con un articolo, chi con tanti articoli, chi con l’illustrazione, chi col fumetto, chi con la grafica, la fotografia, un saggio, un podcast, persino un gioco da tavolo.
La designer di gioielli Ariel YC Tsai, di base a Londra e diplomata presso la prestigiosa Central Saint Martins, ha deciso di puntare sul colore (quel colore che solo di recente, nelle pubblicità è diventato così com’è, rosso), realizzando due ironiche quanto interessanti serie di spille in cui la ricerca cromatica va di pari passo con il racconto concettuale delle mestruazioni, pensato per stimolare la discussione.
La prima serie, intitolata Not Again! & Phew! gioca sul fatto di bagnare l’assorbente e sporcare materasso e cuscino nella fase Not Again! e poi tirare un sospiro di sollievo, Phew!, quando il flusso termina.
La seconda — Periodtone — indaga invece le varie tonalità del ciclo, con spille che ricordano i swatch Pantone.