Come dimostrano le illusioni ottiche (e la Psicologia della Gestalt), “il tutto è più della somma delle singole parti”. In poche parole la percezione dipende da molti fattori, ed è influenzata dal contesto: un cerchio su un foglio bianco è una semplice figura geometrica, se quel cerchio lo inseriamo nell’illustrazione di un paesaggio lì dove dovrebbe esserci il cielo, allora diventerà un sole o una luna; se lo mettiamo sull’erba, un palla; se lo spostiamo su un volto si trasformerà in un brufolo o una voglia; su una camicia è un bottone, e così via.
Allo stesso modo, non fosse per le ombre o le mani dell’artista che appaiono nelle foto, le opere di Kanako Abe sembrerebbero illustrazioni, disegnate su carta con del semplice inchiostro nero. E tali appaiono fin quando — magia — non entra in gioco l’elemento che cambia il contesto e “risintonizza” la prospettiva, mostrandole per ciò che sono in realtà: magnifiche, laboriosissime opere di papercutting, l’arte di intagliare la carta praticata, inizialmente in Cina, da più di 1700 anni.
Originaria del Giappone e cresciuta in California, a San Francisco, Abe ha incominciato a usare carta e cutter nel 2012, scoprendo e poi approfondendo l’antica tecnica giapponese dell’Ise-katagami, che consiste nel realizzare stencile da utilizzare poi per decorare i kimono.
Ciò che però sorprende, nelle opere di Kanako Abe, non è tanto la stupefacente precisione né la quantità di tempo che l’artista deve passare sopra a ogni sua creazione, quando piuttosto la capacità di tirar fuori, in negativo, un segno che è in tutto e per tutto simile a quello che una penna traccerebbe sul foglio.