Quando si parla di strategie per conquistare clienti/utenti e si cerca di spiegare il nostro attaccamento di consumatori a prodotti e aziende, viene spesso fuori spesso l’espressione marketing emozionale. Vista l’offerta sovrabbondate che c’è in qualsiasi settore, con merci e servizi che molte volte sono quasi identici gli uni con gli altri, non serve più pubblicizzare, magnificandole, le qualità e le caratteristiche di un bene, bisogna invece far leva sulle emozioni del potenziale acquirente. Utilizzare la comunicazione per farlo, in qualche modo, innamorare.
Questo non spiega però il successo di prodotti che con poca o nessuna pubblicità (e quando c’è è pressoché identica da decenni) sono comunque riusciti a ritagliarsi un posticino tra gli affetti di una grossa fetta di pubblico di tutte le età.
Una risposta prova a darla il designer Giulio Iacchetti nell’introduzione a Fattobene – Italian Everyday Archetipes, libro che celebra e racconta le storie di aziende e prodotti italiani che esistono da generazioni e — con il marchio o senza, in veste di pezzi praticamente perfetti di design (quasi) anonimo — sono entrati non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche nell’immaginario condiviso degli italiani, «concedendoci il piacere di non ponderare scelte tra prodotti analoghi, ma di andare a colpo sicuro verso quella tal schiuma da barba, quella pinzatrice da scrivania o quel sapone confezionato con cura e dedizione come ormai non si usa più», scrive Iacchetti.
Le amarene Fabbri, la Coccoina, la cedrata Tassoni, le pastiglie Leone, la cucitrice Zenith, il lievito Paneangeli, le carte da gioco Modiano, la liquirizia Amarelli, il tamarindo Erba hanno “quel qualcosa in più” che trascende il semplice status di merce e parla più al cuore che alla ragione.
L’ipotesi di Iacchetti è che «forse in questo universo oggettuale cristallizzato e immutabile, cogliamo il valore dell’infinito e dell’immortalità: tutti noi, esseri segnati dal senso della finitudine, inconsciamente sappiamo che queste cose belle ci sopravviveranno, concedendo la loro facoltà e funzionalità anche a chi verrà dopo di noi. Come le abbiamo conosciute e apprezzate grazie ai nostri nonni e genitori […] così ne godranno (o ne stanno già godendo) i nostri figli».
Sono questi oggetti immortali i protagonisti di Fattobene, libro pubblicato da Corraini e curato da Anna Lagorio e Alex Carnevali, fondatori dell’omonimo sito di cui abbiamo già parlato diverse volte qui su Frizzifrizzi.
Nato due anni fa, Fattobene è un archivio di eccellenze, una scatola di piena di belle storie (a volte inaspettate: ho scoperto lì che il celebre Crystal Ball lo producevano in Brianza) e uno shop delle meraviglie.
288 pagine, quattro diverse copertine tra cui scegliere, il libro è una sorta di catalogo di questo peculiare museo/atlante/negozio e raccoglie informazioni e materiale d’archivio — in alcuni casi inedito — su 35 aziende, tra vecchie pubblicità, packaging, foto storiche, progetti, narrando anche un pezzetto della storia industriale italiana dal ‘900.
Oltre ai prodotti, alcuni capitoli approfondiscono alcuni pezzi di design (stavolta sì) anonimo, veri e propri “archetipi” come la scopa di saggina, il mandillu da gruppu (il fazzoletto ligure che ricorda il furoshiki giapponese), i cannelli di zolfo (dalle virtù terapeutiche ma praticamente sconosciuti al di fuori della Liguria), le bocce e il rigagnocchi, il canovaccio con la stampa a ruggine: cose perfette così come sono, identiche da decenni, a volte da secoli, che è come se fossero sempre state lì, sempre esistite, e destinate all’immortalità.