Marco Taddei e Michele Rocchetti (foto: Antonio Secondo)

Compagni di viaggio #4: intervista a Marco Taddei e Michele Rocchetti

Ho conosciuto Michele Rocchetti diversi anni fa, come allievo di Maurizio Quarello, e da allora ci siamo sempre incrociati alla Fiera di Bologna. Marco Taddei invece l’ho conosciuto di recente a un festival.
Dopo aver assistito a una loro presentazione a dir poco cialtronesca (un duo comico abruzzo-marchigiano degno dei migliori Tognazzi e Vianello) de La nave dei folli, che hanno realizzato assieme e pubblicato con Orecchio Acerbo, ho pensato di intervistarli.

* * *

Raccontateci innanzi tutto: come vi siete incontrati?

Michele
Un’amica in comune mi aveva parlato di Marco, mi sono segnato il suo nome e l’ho cercato sul web, ho trovato un suo profilo Myspace, che aveva come immagine un’incisione raffigurante una balena-isola che ingoiava una nave. Ho pensato fosse un segno divino e l’ho contattato.
Ci siamo incontrati per la prima volta al bar della stazione di Macerata, Marco è arrivato con uno zainetto e ha esordito con «Ciao Caro…», abbiamo ordinato una birra, ci siamo scambiati un libro e abbiamo iniziato a parlare di affari.

Marco
In realtà ricordo altro… ci siamo incontrati ad una gara di ruzzola, io ho fatto ultimo e Rocchetti penultimo, così abbiamo stretto amicizia per rendere più blanda la sconfitta comune. Una giornata memorabile alla fin fine.

tavola dal libro “La nave dei folli”, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, Orecchio Acerbo, 2016

La seconda mi sembra più verosimile.
Sul palco del festival mi siete sembrati molto affiatati. Come avete lavorato al libro?

Michele
Abbiamo lavorato con grande sintonia e complicità, avevo in tasca un soggettino che avevo sviluppato da solo, un viaggio per mari di una congrega di folli vestiti con cappuccio e orecchie d’asino, l’ho sottoposto al “Tads” che dopo un primo tentativo più simile ad un copione teatrale, l’ha completamente stravolto, centrifugato e ricompattato. Da lì abbiamo iniziato a confrontarci su tutto, primo tra tutti lo storyboard, che abbiamo schizzato insieme e, a seguire, grafica, palette colori, editing del testo e quant’altro. Tra un bicchiere di Zibibbo, un piatto di bucatini alla ‘nduja, una fumigazione di benzoino e un film di Herzog è nata un’amicizia che ha dato alla nostra collaborazione il turbo.

Marco
Eh sì, confermo tutto. All’inizio c’era l’idea di Michele di produrre un lavoro con dei folli imbarcati su di una bagnarola, idea pregiata et notevolissima su cui ho innestato tutto un carosello di meraviglie: Brandano, il protagonista, Tundalo il vecchio nocchiero, la bella Porfiria, eroica clandestina, il villaggio di Saggionia, da cui il viaggio ha inizio, le Isole dei Sonnambuli, i draghi d’Oriente, i vichinghi, gli Zarathan, i Diavoli, l’Inferno che puzza di cipollotto, le noci in bilico sul dorso dei pesci giganti, le zuppe soporifere e tante altre cose che sagacemente vi teniamo nascoste.

tavola dal libro “La nave dei folli”, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, Orecchio Acerbo, 2016

Diciamolo ai lettori: siete due persone poco serie. Eppure avete convinto Orecchio Acerbo a farvi fare un libro. Come ci siete riusciti?

Michele
In verità le cose sono andate così: navigavamo senza rotta, io avevo accumulato un po’ di materiale, tre illustrazioni e un’impostazione grafica e Marco aveva il suo testo, embrione al terzo mese, così ho pensato di chiedere un punto di vista alla cara Fausta [Orecchio, che ha fondato e dirige la casa editrice, ndr], presumendo che rimanesse solo un punto di vista. Dopo una breve pausa, Fausta, contagiata dalla follia, mi dice «Michele, ma a me questo libro piace, non possiamo farlo insieme?»
Evidentemente non è stata opera nostra, ma di capitan Brandano!

Marco
Siamo stati graziati da Brandano! Pubblicare un libro del genere è una scelta coraggiosa, e Fausta è stata a dir poco temeraria a far gettare l’ancora al nostro matto vascello nelle sicure acque di una casa editrice come Orecchio Acerbo. Lunga vita a queste scelte che, in un mercato editoriale che si affida spesso solo “al colpo sicuro”, rappresentano la vera rivoluzione.

tavola dal libro “La nave dei folli”, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, Orecchio Acerbo, 2016

La nave dei folli è un libro molto particolare. La storia di un diverso messo al bando, abbandonato su una nave in preda al mare, che forma un equipaggio di altri diversi come lui. Ne nasce un’avventura fantastica, una sorta di rivincita degli esclusi.
Marco, Come ti è venuta in mente questa storia?

Marco
Come suggerivo qualche riga sopra, il lavoro è nato da ghiribizzo di Michele. Tutto l’arredo però è farina del mio sacco. Un sacco nutrito dal magnifico immaginario che ci hanno lasciato le leggende medioevali, le narrazioni popolari dei cosiddetti secoli bui, i racconti marinareschi — da Sinbad a San Brandano — da cui abbiamo addirittura rapito il nome del capo della nostra ciurma di matti.
In questi anni di efficienza e compattezza chi ha una visione alternativa o opposta alla maggioranza diventa un ultimo, un escluso, un folle. Questo mondo è progredito sanamente grazia alla follia dei nostri predecessori, e la loro follia era visionarietà. Ultimamente l’umanità soffre di eccessiva omogeneità sia nelle azioni che nel pensiero. Per il progresso un comportamento del genere è puro veleno. C’è bisogno di più meraviglia, di più accoglienza, di più carnevali e il nostro libro dà il contributo minimo a questa impareggiabile mission.

tavola dal libro “La nave dei folli”, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, Orecchio Acerbo, 2016

Marco utilizza una lingua volutamente arcaica che tu, Michele, hai interpretato con una serie di illustrazioni che richiamano le icone medioevali. È stata una scelta concordata insieme?

Michele
Più che concordata è stata una scelta approvata, entrambi ci siamo sbizzarriti a tessere una sintesi delle fonti e delle ispirazioni che più ci piacevano, lavorando in maniera indipendente e al tempo stesso simbiotica, riponendo nell’altro la giusta dose di fiducia.
Marco conosceva già i miei lavori dai tagli più “futuristi” e l’avevo messo al corrente che avrei cercato una fusione tra quel mondo e l’iconografia medievale, ne è stato subito entusiasta.

So che la storia ha avuto diverse stesure. Marco, puoi raccontarci qualcosa?

Marco
All’inizio l’avevo presa troppo di petto. D’altra parte tenere sotto controllo i personaggi di Brandano e della sua ciurma non è cosa da poco. Poi però, come succede sempre nei lavori che hanno un esito felice, ogni cosa ha preso la giusta direzione e… grazie ad un gran tornado. Ho infatti cestinato tutto e ripreso il lavoro partendo da questo assioma: «Scriviamo questa storia proprio come mi piacerebbe leggerla!»
Ed ecco qui 21 capitoli stringatissimi in cui succede di tutto con il ritmo di un ciclo di avventure suddiviso in una dozzina di libri. La ricerca linguistica poi si rifà alla narrativa picaresca del cinquecento, quando appaiono sulla scena della letteratura, per tramite della penna di François Rabelais, personaggi fenomenali come Pantagruele e Gargantua, e la stesura definitiva ha poi subito decine di riscritture per trovare il giusto lazzo linguistico, la comica sonorità, l’adeguato senso d’avventura.

tavola dal libro “La nave dei folli”, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, Orecchio Acerbo, 2016

Michele, tu lavori in digitale. Puoi raccontarci qualcosa di più del tuo percorso creativo e compositivo?

Michele
Non ho fatto studi artistici fino ai 19 anni, quando mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti. Ho sempre disegnato e nella prima infanzia mi divertivo a fare piccoli libriccini a guisa di catalogo di animali o a copiare, con le penne colorate, riproduzioni di codici medievali.
In Accademia ho studiato comunicazione multimediale, mi sono appassionato di grafica e ho sperimentato un po’ di animazione digitale. Sempre attirato dalla caricatura ho iniziato a sfruttare una forma grafica quasi astratta per ritrarre personaggi famosi e credo che lì ci sia stato il vero snodo.
Ho frequentato un Master di illustrazione per avere delle basi tecniche, ho sperimentato tecniche manuali e alla fine sono tornato al digitale. Ho scelto questa tecnica perché è quella che conosco meglio e perché nel tempo ho acquisito un modus operandi tutto mio. Sono abbastanza soddisfatto di quello che ho ottenuto, ma ogni tecnica è come un viaggio senza fine e c’è ancora tantissima strada da fare.
Non vedo il digitale come un surrogato di una tecnica tradizionale, non regge il confronto neanche nei picchi più alti. Piuttosto preferisco che si veda, sia nel disegno che nella colorazione, cercando di smussare o di valorizzare certe caratteristiche di freddezza e “perfezione”.
Proprio in questi giorni pensando ad un progetto in cui vorrei rappresentare la luce, un’atmosfera fisica, reale, imperfetta, organica, non penso ci sarà posto per il digitale…

tavola dal libro “La nave dei folli”, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, Orecchio Acerbo, 2016

Come avete lavorato con Orecchio Acerbo? L’editore è intervenuto in qualche modo nel progetto?

Michele
Abbiamo consegnato il progetto quasi “chiavi in mano”. Dopo aver avuto una prima approvazione da parte di Orecchio Acerbo, abbiamo lavorato autonomamente, curando persino l’impaginazione, con buona pace di Fausta Orecchio che si è dimostrata di una disponibilità infinita.
Naturalmente da parte dell’editore sono arrivate precise direttive sulla lunghezza del testo e sulla sua divisione. Un piccolo incontro scontro c’è stato sulla copertina, l’editore ne voleva una, noi un’altra e alla fine per il principio del “terzo gode” ha vinto quella che tutti potete vedere.

Marco
Ora che il libro è uscito possiamo confessare che abbiamo legato Fausta all’albero maestro della nostra nave e l’abbiamo costretto ad una vacanza “forzata” per i sette mari.

tavola dal libro “La nave dei folli”, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, Orecchio Acerbo, 2016

In effetti, mi sembrava di non vederla in giro da un po’! Domanda scontata, quindi: farete altri libri insieme? State già lavorando a qualcosa?

Marco
Bolle tantissima roba in pentola, ma stiamo imparando che la creatività nasconde una assai spinosa regola: più idee si hanno, più si riduce il tempo a disposizione per metterle in pratica. Fare un libro vuol dire sacrificare una parte della propria giornata a qualcosa di magico, farne molti vuol dire dedicare a quella magia gran parte dell’anno. Il problema principale è quindi sopravvivere alle nostre idee mettendo assieme i soldi per le bollette e quelli per la spesa.

Michele
Abbiamo, da qualche anno, tre quattro cinque progetti in testa, tutti impubblicabili!
Scherzi a parte sì, abbiamo molte idee, piuttosto complesse, contro le quali remano gli impegni paralleli di ciascuno e la difficoltà di inquadrare un editore o un target di mercato. Sono scrupoli che detesto farmi e che non mi faccio mai prima di sviluppare l’idea, pena castrazione sul nascere, tuttavia sono aspetti che vanno considerati, in quanto solidi e contundenti.
Forse un libro di cucina sinestetica? Forse un diario illustrato decadente? Forse il sequel della Nave dei Folli? Vediamo cosa il fato ci metterà innanzi al cammino, noi dal canto nostro ci metteremo bisaccia e la fiaschetta.

Marco Taddei e Michele Rocchetti
(foto: Antonio Secondo)
editorialista
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