Effimera come ogni affissione, come ogni segno di vernice su un muro esposto al vento, alla pioggia e all’intervento di chiunque passi di lì e decida a sua volta di lasciare un altro segno, la street art va conservata. C’è chi lo fa staccando i muri e mettendoli in galleria e chi, per fortuna, sa che basta una macchina fotografica.
(Sì, certo, guardare l’originale non sarà mai come guardare una foto, vedi le riproduzioni dei quadri, le pennellate, i colori, ma i quadri sono stati pensati per stare su una tela o una tavola di legno, un murale invece, beh, per stare su un muro, quel muro, non un altro).
La street art può allacciare un link col passato: raccontare le storie di un luogo, rimetterle in discussione, aggiornarle o magari combatterle. Altre volte guarda invece al futuro. Lo immagina, ne inventa uno plausibile o uno impossibile, apre le finestre su altri mondi e altri pensieri («e se…?»).
La street art capita che parli anche soltanto di se stessa. Oppure di niente. Ma vive sempre e solo nel presente. Hic et nunc, qui e ora. Con la particolarità che nell’arte urbana il presente è in qualche modo sdoppiato: c’è quello dell’artista che realizza il pezzo e quello dello spettatore che guarda e ne riceve qualcosa. E più passa il tempo, più il medium e il messaggio si trasformano, reagiscono all’ambiente circostante e ai pensieri di chi guarda.

(foto: Frizzifrizzi)
L’hic, il qui, il luogo, è forse ancora più importante del momento. Come scrivevo prima, quel muro, non un altro. E guardare da lontano, attraverso uno schermo, la pagina di un libro o di un giornale; su un catalogo o una guida; su un blog o un social network: sì, crea il suo effetto, ma è un effetto zoppo, depotenziato.
Io ti posso spiegare il murale di Blu sulla parete dell’XM24 a Bologna, raccontare perché l’ha cancellato, ma ti perderesti comunque il panorama post-apocalittico della Bolognina che c’è appena giri lo sguardo un po’ a destra di quel muro. Perderesti le voci che arrivano da dentro al centro sociale, le facce di quelli che abitano in zona, il tramonto mozzafiato dietro al palazzone incompiuto poco distante, simbolo di una gentrificazione (per ora) abortita.
È quel che si dice, il contesto. Che può essere geografico, storico, politico, sociale, emozionale. Più spesso tutte queste cose assieme.

(foto: Frizzifrizzi)
A poterselo permettere, bisognerebbe quindi prendere e partire, seguendo tutti gli itinerari della street art, non appena un nuovo muro grigio viene colorato. Ma sono itinerari, questi, costantemente in fieri, assai più estemporanei e sicuramente secondari rispetto a quelli del turismo, che sia esso culturale, gastronomico, commerciale o del divertimento.
Essendo ogni mappa un tentativo di congelamento di qualcosa che è per sua natura dinamico, provare a mappare questa tipologia di intervento artistico è dunque un’impresa impossibile. Ma si può sempre ribaltare il punto di vista, e utilizzare l’arte urbana come strumento che aiuti a ridisegnare sulle carte i luoghi che da esse erano scomparsi o che non ci sono mai stati: le periferie, i piccoli centri, le strade dimenticate.

(foto: Frizzifrizzi)
Questo l’intento di un bel libro come Street Art in Sicilia, pubblicato da Dario Flaccovio Editore e a cura di Mauro Filippi, Marco Mondino e Luisa Tuttolomondo (a proposito di mappe!).
Architetto, fotografo ed esperto di documentazioni dei beni culturali il primo, semiologo e ricercatore in Studi Culturali Europei il secondo, sociologia e ricercatrice in Pianificazione e Politiche Pubbliche del Territorio la terza, Filippi, Mondino e Tuttolomondo hanno voluto usare la street art come specchio che potesse «riflettere sulle identità dei quartieri e dei luoghi d’intervento ma anche sui flussi e sulle ibridazioni, sulle traiettorie degli street artist lungo l’isola».
Un’arte che, se usata appunto come strumento per indagare il territorio, parla di squilibri sociali, di speculazione edilizia, di abbandono dei centri storici. E ha il potere, come scrivono gli autori nell’introduzione, di attivare alcuni luoghi e riportarli al centro dell’attenzione, mentre il territorio, da par suo, diventa un archivio a cielo aperto che racconta le trasformazioni della street art.
Strutturato in base a sezioni geografiche, oltre alle foto e alle schede delle tante opere che aiutano ad orientarsi tra nomi, luoghi, tecniche e contesti, il libro offre anche tanto materiale di approfondimento sulle città e i quartieri, sulle scene locali e le loro storie, sulle criticità del fenomeno arte urbana, sui progetti più interessanti.
Un lavoro certosino quello svolto da Filippi, Mondino e Tuttolomondo, fatto col cuore dell’appassionato e la metodologia del ricercatore, e accompagnato tra l’altro da una interessante estensione digitale, il sito streetartfactory.eu, che consiglio di visitare.

(foto: Frizzifrizzi)

(foto: Frizzifrizzi)

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(foto: Frizzifrizzi)

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