Rubens Cantuni (a sx.) e Mauro Gatti (dx.)

L.A. Confidential: intervista a Rubens Cantuni e Mauro Gatti, che hanno recentemente vinto un Emmy

Se mi aveste chiesto a bruciapelo: «Associa un volto agli Emmy Award», credo che vi avrei risposto abbastanza prontamente qualcosa del tipo: «Benedict Cumberbatch!» (ho da poco finito di guardare Sherlock..!), oppure Kevin Spacey, o forse Matt LeBlanc. Beh questo sarebbe stato almeno fino al 28 aprile scorso. Da quella data in poi credo che risponderei di getto: Rubens Cantuni!
Ebbene sì, io quello lo conosco!

Purtroppo ho appreso banalmente la notizia scorrendo le news di Facebook, ma ho pensato che un evento del genere dovesse avere comunque un adeguato riscontro. Con un rapido giro di mail (grazie ragazzi, veramente, la professionalità si vede anche da gesti come questi), ho organizzato così questo Q&A, includendo anche il responsabile del progetto, Mauro Gatti, per un “confronto all’americana”.

* * *

Ciao Rubens, ciao Mauro. Vi siete recentemente portati a casa un Emmy Award con il vostro lavoro per Ask the StoryBots, con un altisonante menzione come Outstanding Interactive – Enhancement to a Daytime Program or Series.
Vi aspettavate un risultato del genere?
Voglio dire, era nell’aria, considerando anche la nominee, o è stato qualcosa di totalmente inaspettato?

Rubens
Per me è stata già una sorpresa la nomination. Onestamente non sapevo nemmeno che esistesse una categoria del genere. Sapevo che Ask the StoryBots puntava ad (almeno) un Emmy, ma non avrei mai immaginato potessi essere direttamente coinvolto, non lavorando direttamente sulla serie TV vera e propria, ma al suo corollario digital.
Una volta saputo della nomination devo dire di averci un po’ creduto, perché sapevo che il prodotto era buono. Quando hanno comunicato il vincitore dal palco è stata comunque un’emozione incredibile.

Mauro
Io personalmente sapevo che il lavoro fatto era superiore agli altri candidati della nostra categoria ma non pensavo che sarebbe stato l’unico Emmy vinto su un totale di 6 nomination.

Che effetto fa vincere un Emmy? Red carpet, abito scuro, cene di gala, è davvero come me lo immagino (tipo un incrocio tra un video di Puff Daddy ed uno di Rihanna)?

Rubens
Sicuramente uno dei momenti più incredibili della mia vita, non solo per la vittoria, ma anche per tutto il contorno. Per me era roba vista solo in TV. Poi trovarmi accanto a Ronn Moss a.k.a. Ridge Forrester al buffet è stato sicuramente l’apice della serata. Più della vittoria. Scherzo. Forse.

Mauro
È una fortissima emozione. La posiziono come intensità tra la vittoria dell’Italia ai mondiali del 2006 e Il secondo tragico Fantozzi. Essere vestiti (e bere) come Don Draper fa parte dei requisiti della serata e l’aver vinto una statuetta ha reso questa esperienza indimenticabile.

E soprattutto, cosa succede dopo? Immagino anche per la vostra società sia stato un risultato piuttosto eclatante! Credete che la vostra carriera subirà una qualche evoluzione grazie a quest’evento?

Rubens
Sicuramente è, come dicono qui, una bella “feather in my cap”. In termini di riconoscimenti dubito potrò mai raggiungere qualcos’altro di paragonabile. Per darti un’idea, quando ho fatto le pratiche per il mio visto O-1 (Alien of Extraordinary Ability), ho dovuto fornire tonnellate di prove, lettere di raccomandazione, articoli di riviste e altro, che comprovassero i miei traguardi professionali. Se avessi avuto un Emmy all’epoca l’approvazione sarebbe stata praticamente automatica con quello come unica prova, visto che per l’immigrazione quello è equiparato al valore professionale di un Oscar per il cinema o un Grammy per la musica.

Mauro
La società grazie a questo Emmy può ora considerarsi una “Emmy-awarded company” (cosa che in questo settore conta molto).
Il mio lavoro su StoryBots si è concluso un anno fa e questo Emmy più che “promuovermi” all’interno dell’azienda ha dimostrato che il lavoro fatto in quasi due anni è stato notevole. Ovviamente l’aver vinto un Emmy arricchisce il curriculum e crea opportunità.

Per quale ragione, a vostro avviso, alcune app riescono a sfondare, ed inanellare una serie di primati e record (cui sicuramente la vincita di un Emmy rappresenta forse il vertice della piramide), mentre altre rimangono, pur talvolta tecnicamente valide, a veleggiare pigramente nel limbo degli app store?

Rubens
Non credo sia possibile identificare un pattern. Ogni app ha il suo percorso verso il successo o il fallimento. Sicuramente oggi, molto più che agli albori degli app store, contano i soldi da poter investire in marketing e adv, ma ancora di più la benedizione di mamma Apple, che con un featured sul mercato giusto (cioè quello USA) può far svoltare qualsiasi app, indipendentemente da altri fattori, quali design o innovazione o tecnologia.

Mauro
È un discorso complesso e spesso anche il fattore fortuna contribuisce al successo di un’app. Gli ingredienti, in quantità variabili, sono qualità del design, innovazione tecnologica, marketing e una spinta da parte del publisher o di Apple (nel caso il mercato di riferimento su iOS).
Ci sono centinaia di app/giochi lanciati ogni giorno ed è sempre più difficile essere notati e spesso purtroppo non basta fare una bella app ma serve pensare a tutta la parte di pre-lancio, promozione e strategia di supporto al lancio.

Siete entrambi illustratori affermati, sebbene in JibJab vi occupiate di mansioni diverse [Mauro Gatti in veste di VP of Content and Programming e Rubens in qualità di Art Director, ndr].
Il vostro contributo è stato prettamente focalizzato alla creazione di materiale visivo quindi, o avete dovuto affrontare anche sfide di carattere manageriale, per raggiungere questo risultato?

Rubens
Entrambe le cose. Mauro ha fatto sia il manager che il designer. Io tra le varie cose, dal product designer, al graphic designer, mi sono occupato anche dell’ideazione e sviluppo degli esercizi per la piattaforma educational StoryBots Classroom.
Con l’aiuto di una consulente esperta nell’educazione nella scuola materna, ci siamo interfacciati per creare un percorso formativo, con la matematica come materia in oggetto (con l’idea di essere ampliato ad altre materie in futuro), che seguisse i canoni imposti da quello che qui è chiamato “Common core”, ovvero un programma scolastico di base unificato per tutte le scuole della nazione.
È stato interessante scoprire che qui la matematica viene insegnata a partire dall’asilo e che tutte, o quasi, le scuole sono dotate di strumenti tecnologici all’avanguardia e gli insegnanti, anche delle materne, sono molto “tech savvy”.

Mauro
Il mio obiettivo, durante i quasi due anni su StoryBots, è stato quello di creare un team che potesse consolidare i contenuti digitali della property su due canali di distribuzione, web e mobile.
Un’immagine coordinata unica e consistente ed un accesso ai contenuti (e alla monetizzazione delle subscription) rapido ed efficace. Una volta raggiunta quella milestone il focus si è spostato sulla creazione di un prodotto educational per il sistema scolastico americano chiamato StoryBots Classroom.
Per rispondere alla tua domanda, sicuramente c’è stato uno sforzo creativo ma una buona parte del mio tempo è stata investita in organizzazione, management e agile development.

Mi soffermo ancora un poco su StoryBots: ho visto infatti che l’app che avete sviluppato stia andando abbastanza forte.
Cosa state sviluppando per questo titolo? È un lavoro che sta coinvolgendo quindi l’attività vostra e del resto del team di JibJab in modo prioritario?

Rubens
Dopo aver completato il progetto StoryBots digital (che comunque ora è stato ripreso da un altro team) sono passato a fare art direction su contenuti per le altre app di JibJab. Stiamo per rilasciare un nuovo prodotto molto divertente. I team sono quasi completamente separati, benché lo spazio e le attività extralavorative siano assolutamente condivisi.

Mauro
Un anno fa, dopo l’esperienza StoryBots, sono stato riassegnato ad un nuovo ruolo di supervisione e strategia dei contenuti delle altre property mobile di JibJab. I due team, StoryBots e JibJab, sono separati ed indipendenti e non ci sono molte sovrapposizioni.

Avete entrambi un passato da illustratori qui in Italia, Mauro in particolare è stato il co-fondatore di Mutado, mentre Rubens hai avuto un passato genovese prima dell’esperienza milanese propedeutica al passaggio oltreoceano. Che cosa ha significato per voi spostarsi sulla West Coast? Che impatto ha avuto sul vostro lavoro?

Rubens
Un’esperienza importantissima. Anzitutto ti ritrovi immerso in una realtà professionale (oltre che di vita quotidiana) completamente diversa, con i suoi pro e contro.
Tra i contro sicuramente la maggiore flessibilità (qui si può licenziare dalla sera alla mattina) ti lascia comunque un senso di insicurezza, anche se ti sprona a dare del tuo meglio, quindi non del tutto negativa come cosa. E meno ferie, molte meno.
Tra i pro indubbiamente la meritocrazia, il lavorare con e per gente entusiasta, l’ambiente super super rilassato e, diciamolo, stipendi degni di tale nome. Anche il confrontarsi con un team super talentuoso, dai creativi ai developer, ti mette sempre alla prova, ma non è mai competitivo o stressante, anzi, stimolante direi che è la parola giusta.

Mauro
Un forte impatto. La mia carriera (sia freelance che corporate) e bagaglio di cultura business ne hanno beneficiato tantissimo e vivere questa esperienza mi ha reso più intraprendente e motivato.

È stato complesso integrarsi in una comunità come quella di Los Angeles, che immagino piuttosto variegata? Quali sono stati gli aspetti più complicati, ammesso che ce ne siano stati?

Rubens
Non difficile, ma non facile, specialmente per uno come me che non ha grandissime doti di PR. Gli americani instaurano amicizie molto diverse dagli italiani. I californiani, quanto meno i losangelini, sono comunque solitamente molto cordiali (tranne quando sono alla guida, ma posso capirli). È normalissimo che per strada o in un negozio gente a caso ti faccia un complimento su qualcosa che indossi ad esempio o attacchi bottone su un qualunque argomento, o che la cassiera del supermercato ti chieda per cosa userai certi ingredienti e ti ritrovi a darle la ricetta della farinata genovese.
Los Angeles è poi tra le prime città al mondo per varietà culturale, incontri davvero persone da ogni parte del mondo e degli USA, infatti i più rari da incontrare sono quelli nati e cresciuti a L.A.

Mauro
Non è stato complesso integrarsi, Los Angeles è molto accogliente. È spesso difficile interagire con gli americani che pur essendo occidentali come noi hanno una visione della vita e dei rapporti interpersonali molto diversa.

Che differenze trovate, a livello di trend, di stili, rispetto a quella che è la “scena” italiana, al momento? Vedete delle possibili anticipazioni, qualcosa che da voi è già realtà ma da noi ancora non si è sviluppata?

Rubens
Non direi. Ormai, specialmente in ambito tecnologico, tutto è ovunque nello stesso momento. Sicuramente però a livello di adozione di nuove tecnologie e app qui in California sono molto avanti e generalmente vedo un livello di alfabetizzazione informatica che da noi sembra ancora fantascienza.

Mauro
Internet ha reso tutto più accessibile e lineare. I keynote delle maggiori aziende tech sono in live stream e visibili a tutti, tanto quanto l’accesso alle nuove tecnologie. Ciò che è diverso è che qui c’è una cultura che vede il rischio (sia da parte dell’investitore che dell’ideatore), e anche il possibile fallimento, come un valore di crescita e non un freno.

E le vostre giornate di lavoro come sono cambiate, rispetto ai ritmi qui in Italia? Avete ancora modo di coltivare i vostri progetti personali?

Rubens
Decisamente in meglio. Lo stress della vita di agenzia è un vecchio ricordo. Ma questo non è dovuto al Paese dove mi trovo, ma più che altro all’essere passato da lavori in agenzia pubblicitaria ad una digital media company, che non ha clienti con scadenze pressanti e richieste bislacche, ma sviluppa progetti e contenuti per i propri utenti.
È molto, molto diverso e molto più divertente. Nel tempo libero sto seguendo un paio di progetti con Mauro, ogni tanto aggiungo qualcosa al mio portfolio personale, ma devo essere sincero, lo sto un po’ trascurando, e qualcosa sul mio profilo Instagram.

Mauro
Cambiate in meglio. Essendo un dipendente di JibJab faccio orari d’ufficio, mai mi hanno chiesto di rimanere oltre il canonico 9-6, e ho tempo di coltivare progetti personali e freelance che puoi vedere sul mio Behance: https://www.behance.net/maurogatti.
Insieme a Rubens abbiamo lanciato due progetti, un piccolo game studio ed una società che produce digital stickers per brand e artisti.

Tornando alla realtà in cui lavorate attualmente, JibJab, leggo nel loro statement: “[…] is leading digital entertainment studio […] the company includes over 80 world-class artists, technologists and business people working hard in pursuit of a mission to make billions of people happy”.
In che modo quindi il vostro lavoro si è evoluto rispetto a quello tipico dell’agenzia creativa?
Quali sono, in sintesi, pros & cons dell’una e dell’altra realtà?

Rubens
Ti ho anticipato nella risposta precedente, ma è un punto interessante da approfondire.
JibJab produce contenuti che pubblica su piattaforme proprietarie, per questo motivo non si ha mai a che fare con scadenze imprescindibili, account che ti inondano di email con richieste assurde dei clienti e ore piccole per consegnare gare. Siamo inoltre molto liberi creativamente, il che non guasta di certo.
Il lavoro è comunque piuttosto vario, magari passo dal fare una gif di un tizio che cavalca un unicorno tra gli arcobaleni (true story) al mettere insieme un video trailer per una app o fare sketch di stickers per un’altra app ancora o trovare idee su quali tecnologie esplorare per un nuovo prodotto o una nuova feature.

Mauro
Dopo 15 anni nel mondo della pubblicità, saltando da un brand all’altro e da una gara all’altra, avevo bisogno di lavorare su un solo progetto, un prodotto che avesse come riferimento una sola persona/azienda.
Un grande pro è quindi quello di potersi focalizzare completamente solo su un macro obiettivo alla volta e non disperdere la propria creatività su tanti progetti contemporaneamente.
L’altro perk di JibJab è che si vive a contatto con artisti fantastici ed è affascinante essere testimoni della creazione di uno show dall’incipit fino al
rilascio su Netflix.
Di contro per ora non ne ho ancora trovati.

Buttando uno sguardo al futuro, vi aspettate altre sorprese? Quali sono i principali progetti che vi coinvolgeranno nei prossimi mesi?

Rubens
Il lancio imminente (se tutto va bene) di nuovo prodotto e poi chissà.
Nonostante non lo sia a tutti gli effetti, in JibJab si respira ancora un’aria molto da startup e quindi il vento cambia molto rapidamente da un progetto ad un altro.

Mauro
C’è un grande progetto sul quale abbiamo lavorato diversi mesi che verrà rilasciato a breve, per ora è TOP SECRET ma a fine maggio (dita incrociate) ci dovrebbe essere il lancio ufficiale.

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