Cosa identifica immediatamente chi siamo agli occhi degli altri? Qual è il biglietto da visita con cui affrontiamo la società, il mondo del lavoro, ogni singolo incontro e relazione personale, cosa ci rende subito riconoscibili, non solo a chi ci sta osservando ma anche e soprattutto a noi stessi? La risposta è semplice, il nostro viso.
Esistono persone che hanno subito un atto devastante, con un’arma invisibile e silenziosa in grado di cancellare per sempre questa identità, spazzando via in un istante lineamenti e tratti, pelle, capelli e ogni caratteristica di quel viso che le accompagnava sin dalla nascita. Un’arma che però non è stata in grado di cancellarne lo spirito.
Ed è proprio lo spirito di un gruppo di donne indiane, vittime di attacchi con l’acido, che traspare dall’intenso reportage Sheroes del giovane fotografo Federico Borella, in mostra dal 2 al 15 marzo all’interno della sala Manica Lunga di Palazzo d’Accursio.
Un racconto potente, che testimonia la ritrovata quotidianità di queste giovani donne all’interno dello Sheroes Hangout Café di Agra, un locale per turisti che sorge vicino al simbolo dell’amore per antonomasia, il maestoso Taj Mahal. Fondato nel 2014 dalla fondazione Stop Acid Attacks, questo caffè nasce con lo scopo di trovare, proteggere e reinserire nella società e nel mondo del lavoro le vittime di attacchi con l’acido.
Sheroes, fusione delle parole she e heroes, ci parla proprio di questo: dell’eroica ricostruzione di un’identità perduta, dell’ostinazione con cui queste donne hanno ripreso in mano la propria vita e la propria dignità di esseri umani, di come ogni giorno lavorino, ridano, scherzino e ballino con i clienti del bar, di come non abbiamo rinunciato a seguire le proprie passioni e di come siano riuscite a ritrovare la luce.
Il reportage di Federico Borella inizia nel 2015, quando decide di partire alla volta di Agra insieme al giornalista e compagno di viaggio Saverio Migliari per conoscere di persona queste eroine. «Pensando a questo lavoro», racconta, «la mia preoccupazione era quella di non essere all’altezza di gestire una situazione del genere, inoltre temevo di avere difficoltà di comunicazione a causa della barriera linguistica. Quando sono arrivato, la bellissima scoperta è stata che queste ragazze sono state incredibilmente disponibili e disposte a raccontare la loro vicenda, proprio perché sono consapevoli che così facendo possono aiutare altre persone».
Gli attacchi con l’acido sono un fenomeno molto diffuso in tutta l’India, una pratica disumana attraverso la quale si risolvono gelosie, controversie legate a proprietà terriere e dispute familiari. Nel 2015 i casi denunciati sono stati 249, e purtroppo la realtà è ancora più preoccupante, perché la maggior parte delle vittime resta nell’ombra, non avendo il coraggio o il supporto necessario per denunciare i propri aggressori.
Ciò che trapela da questi scatti non è però un senso di vergogna o di disperazione, al contrario, il messaggio che arriva forte e chiaro è un messaggio di speranza e di forza. Non a caso, le ragazze non si nascondono di fronte alla macchina fotografica, n? tantomeno di fronte alle persone con cui interagiscono ogni giorno. «Dopo questo tipo di violenza, le donne generalmente tendono a portare il velo perché si vergognano della loro condizione. Durante il processo di consapevolezza che attraversano nei primi mesi di volontariato all’interno dello Sheroes, seguono un percorso che le rende più indipendenti. Questo fa si che la prima cosa che evitano di fare sia proprio di coprirsi il volto, perché non hanno più paura del giudizio altrui».
La mostra sarà visitabile gratuitamente dal 2 al 15 marzo presso la Sala Manica Lunga di Palazzo d’Accursio, dal lunedì alla domenica, dalle 9 alle 18.
[cbtabs][cbtab title=”INFO”]Matteo Borella – SheroesQUANDO: 2 — 15 marzo 2017 | 9,00 — 18,00
DOVE: Sala Manica Lunga | Palazzo d’Accursio | p.zza Maggiore, Bologna[/cbtab][cbtab title=”MAPPA”][/cbtab][/cbtabs]