Hanno qualcosa di repulsivo e al contempo di affascinante. Come una Big Babol masticata o una di quelle manine viscide che trovavi nei pacchetti di patatine negli anni ’80. In più hanno l’aspetto di corpi umani e questo rende ancora più sorprendenti e inaspettate, capaci di turbare e persino sensuali le animazioni sperimentali della serie forms, realizzata dall’artista losangelino Albert Omoss (che consiglio di seguire anche su Instragram: @albertomoss).
Perché il nostro cervello è empaticamente “settato” per riconoscere un ben definito sistema di riferimenti relativi a un corpo: se riesci a capirne l’altezza basta un colpo d’occhio per valutarne anche il peso; sai esattamente qual è la consistenza della pelle e come si comporta in caso di urti e sollecitazioni, e che c’è differenza tra la cute, ad esempio, la pelle della pancia e quella di un tallone; e poi la fisica: non riuscirai mai a spiegarlo a parole ma inconsciamente sai quali sono gli effetti della gravità su un corpo, la differenza di reazione di un corpo vivo e uno morto. È anche per questo, dopotutto, che alcuni videogiochi sembrano realistici e altri no.
Ma i gommosi, mollicci, pastosi, corpi protagonisti delle animazioni di Omoss—accompagnate da titoli e triplette di parole chiave che espandono ulteriormente lo spaesamento—mandano in crisi ogni certezza, e basta una manciata di secondi per far scattare qualcosa, nel centro esatto dei tuoi pensieri di spettatore, che ti mette a disagio ma ti tiene appiccicato allo schermo con la morbosa curiosità di vedere com’è, come sarebbe se potessimo anche noi mescolare le nostre carni come in un frappè quando facciamo sesso, o incastrarci in un elastico intreccio di arti, scioglievolmente danzare come non avessimo uno scheletro a sostenerci.